Cronologia dei telecronisti Rai della Nazionale di calcio. In principio fu la radio, e da essa venne Nicolò Carosio, a cui seguì Nando Martellini. Con questi ebbe fine l’Antico Regno dei marconiani e con Bruno Pizzul, ex calciatore, iniziò l’era dei cronisti già formati per lo schermo. Da Pizzul a Rimedio, passando per Cerqueti-Bizzotto, Civoli e ancora Bizzotto praticamente la televisione di Stato, per le partite dell’Italia, non attinse mai più alla radio, se non nel periodo 2010-2012, quando cantore delle gesta azzurre divenne Bruno Gentili: e quello fu il Nuovo Regno dei marconiani. Ma c’era in realtà un altro giornalista con una solida scuola radiofonica alle spalle che, sin dal ritiro di Pizzul, aspettava la sospirata “convocazione” in Nazionale. Non che non fosse già nel giro televisivo azzurro, anzi: Carlo Nesti, torinese cresciuto a Tuttosport, trottando tra un Processo del lunedì, una Domenica sportiva, un Novantesimo minuto e un Tutto il calcio minuto per minuto dal ’91 era diventato il telecronista ufficiale dell’Under 21 di Maldini, magnifica nelle sorti progressive dei suoi campioni, come quella di Vicini, ma anche più vincente. E quanto più vincente! Nesti smise di accompagnare con la voce gli azzurrini proprio in quel 2002 in cui si apriva la successione a Pizzul, dopo essersi goduto le vittorie in serie agli Europei di categoria nel 1992, 1994 e 1996. Se occorreva un telecronista per la Nazionale A dotato di apposito stellone – a Pizzul, simpaticissimo e coltissimo, gliene fosse andata una buona! – Nesti poteva essere davvero l’uomo giusto. Anche per un altro motivo, non da poco: aveva dalla sua un tratto stilistico inconfondibile. Se Carosio è passato alla storia per la capacità di adattare in italiano l’inglese del football, Martellini per la maestria nel trasmettere pathos maxima cum misura e Pizzul – oltre che per le digressioni culturali – per il tormentone “Tutto molto bello”, Nesti poteva calare l’asso del saluto urbi et orbi, “Appassionati di calcio buonasera”. Il Filogamo del rettangolo verde, però (non dimentichiamoci che Carlo sa il fatto suo anche in materia di testi musicali), al pari di tanti “suoi” campioni come Morfeo, Buso, Carbone, Marcolin, Amoruso, Pecchia, Muzzi non farà mai il salto dall’Under 21 all’Italia maggiore. Perché?
E allora Carlo, cosa successe dopo quel convulsissimo dopo-Pizzul?
Della mia successione a Pizzul parlavano i giornali nell’estate del 2002, all’indomani dei Mondiali in Corea-Giappone (non memorabili per gli azzurri, e ricordati solo per l’arbitraggio-scandalo di Byron Moreno). Nella classifica dei telecronisti – mai resa nota da nessuna parte, si trattava di un’informazione riservata che circolava all’interno di Raisport – ci trovavamo in testa, alla pari, Cerqueti e io. L’arrivo di un nuovo direttore, proprio in quel periodo, rivoluzionò la graduatoria: all’orizzonte si profilava il varo di una staffetta Cerqueti-Bizzotto, e intanto io venivo retrocesso da numero 1 a numero 5. Appresi tutto questo dalla stampa, e nessuno mi spiegò mai il motivo di questo “sconvolgimento”.
Il pensionamento di Pizzul rappresentò anche un cambio di stile da parte della Rai nella translatio imperii in cabina di commento: non più gestioni lunghe – quasi fino alla pensione, potremmo dire – ma interregni di durata piuttosto variabile.
Esattamente. Dalle origini fino al ’70 avemmo Carosio, dal ’70 all’86 Martellini (da Messico a Messico), dall’86 al 2002 Pizzul. Anche se, dei tre, il solo Pizzul concluse il proprio servizio serenamente (Carosio, com’è noto, dovette abbandonare i microfoni per un incidente “diplomatico” mentre Martellini fu messo fuorigioco da un problema di salute), quel che è certo è che, per più di quarant’anni, nessuno mise in dubbio lo schema del telecronista permanente. Tutto cambiò dopo l’addio di Pizzul: a partire dal 2002 gli avvicendamenti si susseguirono con ritmo frenetico, con cadenza quasi biennale. Stoicamente, appassionato dei tele-racconti calcistici qual ero, rimasi in Rai fino al 2010, nel tentativo di rimontare posizioni, per così dire, e cercare di riprendermi quello che, con tutta evidenza, mi ero guadagnato. Non ci riuscii, dunque presi cappello e salutai.
Qual è il tuo modello di telecronista, Carlo?
Si tratta di un giornalista il cui nome, ahimè, probabilmente dirà poco o nulla alle nuove generazioni: sto parlando di Giuseppe Albertini, che per la televisione svizzero-italiana commentava non solo le partite di calcio, ma anche l’hockey su ghiaccio e lo sci. Imparai ad apprezzarne la misura, l’accuratezza nel linguaggio, il ritmo, la padronanza vocale nell’edizione del 1970 del Mondiale di calcio: la Rai, infatti, gli affidò la copertura di uno dei quattro gironi del primo turno. Ebbi, poi, modo di conoscerlo personalmente alle porte di una grande tragedia, il giorno prima della strage dell’Heysel (la sanguinosa cornice della finale di Coppa Campioni 1985 tra Liverpool e Juventus, ndr): era già molto anziano, si trovava lì per fare una delle ultime telecronache della sua carriera. Gli strinsi la mano e gli dissi che per me era stato sempre il n. 1.
Martellini diceva che, a proposito dei telecronisti, si possono individuare due scuole: quella sudamericana, fondata sull’estrema enfasi e sul gusto dei toni clamorosi, e quella anglosassone, asciutta e misurata. Martellini prediligeva quest’ultima perché era la stessa seguita, più o meno, dal suo maestro Carosio, mentre diffidava dal voler emulare la scuola sudamericana, che avrebbe reso il telecronista un forzato dell’entusiasmo, e quindi poco naturale e anche poco credibile. Sei sempre stato anche tu dello stesso parere?
Personalmente credo che nelle partite tra una squadra italiana e una squadra straniera una ragionevole dose di partigianeria si possa anche accettare; cosa che, invece, non ritengo possibile nei match tra due squadre italiane. Non credo, poi, che urlare in continuazione trasmetta più entusiasmo. Proprio Martellini ci ha insegnato che si possono comunicare emozioni rimanendo calmi “sul pezzo”. Bisognerebbe essere “sudamericani” quando è veramente necessario, nel corso di una partita. Ma direi anche che sarebbe meglio esserlo nelle partite in cui vale veramente la pena esserlo: se dai il massimo dei decibel in Monza-Empoli, cosa dovrai o potrai inventarti qualora ti tocchi commentare una finale mondiale? Posso capire che per le tv commerciali le partite, al pari degli altri programmi, siano prodotti “da vendere”, ma lo si può fare anche senza alzare il volume al massimo per 90’ su 90.
Cosa pensi veramente della doppia voce (giornalista + opinionista) nelle telecronache? Martellini era contrario anche a questo.
A questo proposito ho un’idea che esterno già da molto tempo. Come Martellini e come anche Pizzul ritengo che la partita debba essere narrata da una sola voce. Questo perché la partita ha una sua “sacralità”, come la televisione: tu non puoi parlare continuamente in tv come fossi alla radio. Invece è necessario lasciare allo spettatore quegli attimi di silenzio necessari, ad esempio, a godersi gli effetti dello stadio o a concedere un po’ di riposo all’orecchio. A parte questo, una coppia dovrebbe essere estremamente collaudata e affiatata: altrimenti si rischia quella situazione antipaticissima in cui magari uno si attarda nell’analisi dell’azione-gol che si è appena conclusa e l’altro gli si sovrappone per non bucare un’altra eventuale occasione sotto rete maturata nel frattempo.
Credo che la soluzione ottimale sia un solo cronista in cabina e due bordocampisti nei pressi delle due panchine: aumenta l’interesse degli spettatori creare l’attesa per una sostituzione che appare imminente o documentare la tensione in campo semplicemente dando voce ai richiami e alle indicazioni delle panchine. Opinionisti ed ex calciatori e allenatori dovrebbero lavorare prima e dopo la partita e nell’intervallo tra un tempo e l’altro. Alla Rai rimprovero di aver seguito troppo pedestremente i modelli della tv commerciale: ricordo però che fu pioniera nella sperimentazione della telecronaca affidata a una coppia di giornalisti, e in questa sperimentazione fui coinvolto io stesso. Grazie a questa formula posso vantarmi di aver co-raccontato con Pizzul la finale dei Mondiali del ’94: essa ebbe però vita breve, stroncata da certi organi di stampa che al tempo erano impegnati a far guerra al modello Rai dell’informazione sportiva.
Quali i tuoi ricordi più belli da telecronista della Nazionale (soprattutto Under 21)?
In Rai il mio chiodo fisso sono sempre state le radio-telecronache. Se devo essere sincero, per i miei gusti personali la radio mi ha sempre affascinato più della televisione. A un certo punto, però, dovendo scegliere, scelsi la seconda: a quel tempo la Rai trasmetteva tutte le coppe e le partite della nazionale e aveva l’esclusiva sulle immagini del campionato. Che mondo di larghe possibilità e di grandissime prospettive! Se sfoglio il mio album di ricordi da telecronista uno dei capitoli che mi sta più a cuore è senza dubbio la Nazionale Under 21: 1992, 1994, 1996, per ben tre volte ho toccato il cielo con un dito! Mi ritengo molto fortunato. L’Under 21 è stata una specie di seconda famiglia per me. Il rapporto che si era creato tra la squadra e noi giornalisti è, nel calcio blindatissimo di oggi, per molti aspetti impensabile. C’era un gruppetto di sette-otto giornalisti che seguiva la squadra in ogni trasferta e ne condivideva umori e speranze, in un clima di estrema, cordiale complicità. Staff tecnico e giocatori erano molto accoglienti nei confronti di noi che dovevamo raccontarne le gesta, apertissimi: l’Under 21, una squadra popolare, ben voluta dai giornalisti e… vincente. Si può esserlo anche con la stampa a favore, sì; dovrebbero impararlo molti dirigenti e allenatori di oggi, convinti al contrario che erigere un muro di incomunicabilità tra i loro giocatori e l’esterno garantisca migliori risultati.
Molti dei temi che abbiamo trattato in questa conversazione con Carlo sono già stati ampiamente sviluppati da lui sul suo giornale online, Nesti Channel, raggiungibile a questo link: https://www.facebook.com/NestiChannel. Attualmente Carlo è molto attivo anche su YouTube; il suo canale è https://www.youtube.com/user/NestiChannel.
Gianluca Vivacqua