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  • Andrea Franco, un autore da tenere d’occhio

    Andrea Franco, un autore da tenere d’occhio

    Nella capitale abita un autore che merita di essere tenuto d’occhio, ma avendo il peccato originale di essere uno scrittore di genere e non di narrativa mainstream, è un po’ ghettizzato, non è abbastanza conosciuto.
    Il suo nome? Andrea Franco, ed è presente su Wikipedia non perché è nato nello stesso giorno di Orlando Bloom. Il fatto che sia coetaneo del noto autore britannico, non c’entra molto, ma è solo per dare colore alla notizia.
    Vediamo come ha risposto alle domande.

    Parlami del tuo percorso di scrittore.

    Non è possibile rispondere sinteticamente a questa domanda, perché il percorso è stato lungo, è iniziato tantissimi anni fa. Oserei dire che è iniziato circa quarantatré anni fa, quando all’asilo chiesi di imparare a leggere. Ecco, uno scrittore inizia dalla lettura. Pochi mesi dopo iniziai a studiare il pianoforte e avevo forse sei o sette anni quando composi le prime canzoni. Oggi ho quarantotto anni e ricordo alcune tappe di questo lungo viaggio: un raccontino scritto al secondo anno delle superiori (“Il migliore”), corretto con gentilezza dal un docente di filosofia; i primi racconti che ho vinto o che mi hanno visto in buoni piazzamenti (Telescopio, un evento locale, col raccontino “Tre semplici sconosciuti” e il Neropremio con “La buonanotte del demone”). In mezzo tantissime letture, tanta curiosità, tanta emulazione che poi con gli anni ha trovato una via personale, tanti errori, tanto studio, la tecnica, lo stile, altre letture, spaziando tra tanti generi: fantascienza, fantasy, avventura, gialli, thriller, storici, mainstream. Tanti fumetti, su tutti Dylan Dog che ho amato tantissimo e che ho perso un po’ con la sciagurata gestione Recchioni, e Dago. Poi le prime pubblicazioni con racconti che si erano ben piazzati a dei concorsi, parlo dei primissimi anni del secolo (fa effetto dirla così, adesso). E il 2009 anno importante, con una buona pubblicazione con Delos Books e il primo contratto con Mondadori. Ancora studio, perfezionamento, ancora tanti libri letti, confronti, testardaggine. Il 2013 anno importantissimo con due romanzi usciti con Mondadori, le prime pubblicazioni davvero importanti. Leggo e scrivo da sempre. Continuerò a farlo. A prescindere da contratti, editori, fortuna. Perché le parole e la musica sono il mio mondo, e senza non posso stare.

    Qual è la pubblicazione a cui sei più affezionato? E quella che è più popolare fra i tuoi lettori?

    Tutte domande facili, vero? Be’, ce ne sono diverse. Senza dubbio la vittoria al Premio Tedeschi del 2013 con il romanzo “L’odore del peccato” è fondamentale. Ma provo molto affetto per “1849: guerra, delitti, passione”, anche se uscito solo in digitale e senza troppa fortuna. Forse, per conoscermi meglio, un lettore dovrebbe leggere “Negli occhi di Hanya” (Delos Books), uscito qualche anno prima anche col titolo “Senza preavviso” (Mondoscrittura). Sicuramente la serie di
    Verzi e la serie El Asesino (Rey Molina – Segretissimo Mondadori) sono le pubblicazioni più popolari.

    Cosa stai scrivendo è quali sono i tuoi progetti futuri?

    Ultimamente mi sto dedicando a romanzi non di genere, o con aspetti legati a thriller psicologici. Vorrei seguire questa strada, parallelamente ai lavori teatrali. Forse, dico forse, anche finire un romanzo di fantascienza rimasto fermo agli ultimi capitoli. Vedremo. Il mio sogno, quando avevo quindici anni, era Urania, vincere il premio. Magari è ancora possibile. Nel mentre, attendo di sapere se qualche editore crede nel mio ultimo romanzo. Poi vi dirò.

    Kenji Albani

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  • Victor Hugo: I lavoratori del mare

    Victor Hugo: I lavoratori del mare

    Meraviglioso affresco di un angolo di mondo selvaggio e primitivo, dove la vita degli uomini trascorre in balia della natura, il romanzo, apparso per la prima volta nel 1866, è dedicato all’isola di Guernsey, nel nord della Francia, dove Victor Hugo trascorse un lungo periodo in esilio ed in cui la storia è ambientata.
    Nel cuore di quest’isola, infatti, sferzata dal vento spesso impietoso e circondata da un mare che può essere benevolo e ostile al tempo stesso, si snodano le vicende di Gilliat, un giovane uomo che vive in disparte e in solitudine dei frutti del proprio lavoro di pescatore, quasi un derelitto, un emarginato all’interno della piccola comunità che popola il villaggio di pescatori, fatto di casupole di pietra e viottoli che sbucano sulle spiagge.
    La vita del giovane, che scorre monotona e appartata, è sconvolta dall’improvviso amore per una fanciulla, Deruchette, nipote dell’armatore Lethierry.
    Gilliat, illudendosi che anche la fanciulla lo ami, la segue di nascosto, ne ascolta il canto, ne studia le abitudini, ma non osa dichiararsi apertamente finchè una tragedia inaspettata non travolge il paese e l’armatore in particolare: una sua nave naufraga contro una scogliera che tutti i naviganti della zona tendono ad evitare proprio per la sua pericolosità.
    Dinanzi alla disperazione di Lethierry, che di quella nave ha fatto il suo motivo di vita, Deruchette promette davanti a tutti di sposare l’uomo che riuscirà a riportarne intatto il motore, nonostante in cuor suo la fanciulla sia già innamorata di un uomo.
    Gilliat, che sente quella promessa, decide allora di accettare quella folle sfida e salvare la nave per poter sposare la ragazza.
    Comincia così una vera e propria piccola epopea racchiusa nel cuore del libro e che dello stesso rappresenta la parte più affascinante, ovvero la narrazione delle imprese incredibili che il giovane uomo, tutto teso al raggiungimento del suo sogno d’amore, deve sostenere non contro un avversario umano, ma contro la Natura e il Mare, avverso le cui forze Gilliat porta avanti una lotta disperata e immane che non è solo finalizzata a salvare il motore della nave, ma a preservare in alcuni momenti la sua vita stessa.
    Memorabili e bellissime per la potenza drammatica ed evocativa sono le pagine in cui l’uomo lotta contro una gigantesca piovra che lo attacca e rischia di ucciderlo così come incredibilmente romantici restano i notturni dipinti e l’analisi delicatamente rappresentata dell’animo di Gilliat, del pensiero ricorrente di Deruchette e dell’amore immenso e quasi infantile nella sua grandezza che l’uomo, in apparenza rude, prova per la fanciulla.
    La lotta sarà vinta dal protagonista, ma il finale amaro e altissimo allo stesso tempo, rappresentativo del suo animo e del sentimento incommensurabile provato, la renderanno agli occhi dei più quasi vana, eppure è in questo che l’insegnamento dell’autore si rivela, in quella che è una storia d’amore vero e puro, differente da ogni sentimento di interesse e di possesso che tutti coloro che circondano Gilliat può provare.
    Il romanzo, nonostante non sia tra i più celebri del grande scrittore francese, racchiude però in sé pagine altissime di poesia assolutamente indimenticabili ed il finale è tra i più emozionanti di tutta la letteratura grazie all’ultima immagine offerta al lettore incredulo: quella dell’immobilità del triste protagonista con gli occhi fissi alla nave ormai lontana e della marea che invece, imperturbabile ed inarrestabile, come ogni forza della Natura, sale intorno a lui.

    Vittoria Caiazza

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  • Panico da guerra nucleare: in Italia è già corsa al bunker

    Panico da guerra nucleare: in Italia è già corsa al bunker

    Nati in ambito militare, i bunker divennero ben presto le soluzioni preferite dai grandi leader che, per ragioni di sicurezza, avevano necessità di un buen retiro che fosse progettato come una vera e propria mini-fortezza. Tuttavia non si può parlare di un’aspirazione “di massa” al bunker, per così dire, prima della comparsa del bunker come rifugio antiatomico. Parliamo del punto di arrivo di un percorso storico abbastanza lungo: si parte dalle catacombe per arrivare ai rifugi anti-bombardamenti. Luoghi di riparo “comunitari”, fatti per essere condivisi nello stesso momento con tante persone: la vera svolta arriva quando il nascondiglio sicuro e inaccessibile diventa a misura del singolo o di un unico nucleo familiare. È qui che la storia del bunker propriamente detto, fatto per i soldati e per il capo e il suo entourage, incontra quella del rifugio per i gruppi di civili: quello dei bunker “civili”, se proprio non vogliamo chiamarli “borghesi”, è un business a cui da qualche tempo si dedica in modo proficuo la Greenday di Cremona, società edile che al settore ha dedicato una divisione apposita, “Il mio bunker”. Ai due titolari dell’azienda, Stefania Rivoltini e Maurizio Balotta, chiediamo di parlarci delle caratteristiche dei “loro” rifugi antiatomici.

    Generalmente i bunker vengono costruiti nel sottosuolo di campagna o nelle viscere delle periferie urbane?

    Possono essere costruiti in entrambi i contesti. Tuttavia, le campagne offrono maggiori possibilità di spazio, riservatezza e semplicità nella gestione delle autorizzazioni urbanistiche. Anche nelle periferie urbane è possibile intervenire, ma l’ambiente cittadino impone vincoli strutturali e una progettazione più complessa. Ogni bunker viene comunque personalizzato in base alla posizione e alla destinazione d’uso.

    Per “bunker privato” invece si intende un bunker costruito sotto la propria abitazione, come se fosse uno sgabuzzino sotterraneo?

    Non proprio. Un bunker privato può trovarsi sotto casa, ma è molto più di uno “sgabuzzino”. Si tratta di un ambiente a tenuta stagna, tecnologicamente attrezzato per garantire sopravvivenza in condizioni estreme, con sistemi di filtraggio dell’aria, riserve idriche, alimentari e soluzioni abitative di emergenza. L’obiettivo è creare un rifugio sicuro e funzionale, anche se lo spazio è ridotto. Non dimentichiamo che i nostri rifugi con tecnologia NBC, rispondono, parimenti, alla necessità di protezione da agenti biologici (pandemie) e chimici che forse oggi, potrebbero essere realisticamente più futuribili rispetto ad una guerra nucleare.

    I vostri bunker sono monocamerali: lo sono tutti i tipi di bunker?

    La nostra linea base prevede bunker monocamerali per rispondere alle esigenze più diffuse in termini di costi, rapidità d’installazione e semplicità gestionale. Tuttavia esistono, e realizziamo su richiesta, anche soluzioni più modulari, con più ambienti collegati, a seconda delle esigenze del cliente. La configurazione dipende dal budget, dallo spazio disponibile e dal livello di autosufficienza richiesto.

    In caso di effettiva catastrofe nucleare, quanto si può davvero sopravvivere in un ambiente comunque ristretto come quello del bunker prima di tornare a contatto con l’aria?

    Dipende dall’intensità dell’evento e dal tipo di fallout. In media, è consigliabile restare isolati almeno 14-21 giorni, che è il tempo in cui la radioattività esterna si riduce significativamente. I nostri bunker sono progettati per garantire autonomia ben oltre che 30 giorni. I sistemi di filtraggio NBC (nucleare, biologico, chimico) consentono poi un ritorno graduale alla superficie, sempre con monitoraggio costante della qualità dell’aria. Si sta parlando di un ritorno al nucleare anche in Italia. I nostri rifugi, rispondo all’esigenza di protezione di una catastrofe nucleare quale quella di Chernobyl.

    Voi siete un’impresa di costruzioni del Cremonese che ha un dipartimento specializzato nella costruzione di rifugi antiatomici. Qual è l’effettiva percezione del pericolo atomico nel vostro territorio e, in generale, in Lombardia?

    Negli ultimi anni la percezione è profondamente cambiata. Se prima parlare di bunker sembrava un’esagerazione da film, oggi, complice la geopolitica, le tensioni internazionali e le emergenze ambientali, molte persone sentono il bisogno di dotarsi di un rifugio. In Lombardia, in particolare, la densità abitativa, la presenza di infrastrutture sensibili e la cultura della prevenzione rendono questo tipo di investimento sempre più considerato e discusso, anche da professionisti e famiglie.

    Gianluca Vivacqua

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  • Genitorialità e conflitti. Temi complessi e interconnessi

    Genitorialità e conflitti. Temi complessi e interconnessi

    Di cosa hanno bisogno i bambini per diventare adulti equilibrati e quindi felici? La famiglia è in assoluto la prima comunità che ci avvia verso il lungo processo della crescita e quindi che ci formerà per tutto l’arco della nostra infanzia/ adolescenza. Ovviamente la famiglia non è da intendersi solo come nucleo fatto da genitori biologici, sorelle o fratelli, ma in senso più ampio come quel gruppo di appartenenza dove identificarsi, quell’insieme che ci fa sentire a casa e al sicuro. Tuttavia non sempre la famiglia rappresenta un porto sicuro.  Il tema dell’educazione dei bambini continua a essere uno dei temi più sentiti e discussi, anche nel nostro tempo; il ruolo di genitore, oggi come in ogni epoca, rimane una gran bella responsabilità, ricadendo pur sempre sul padre e sulla madre il compito di insegnare cos’è la vita e quali siano i valori chiave per costruirsi un futuro che porti alla serenità. La verità di ciò che diciamo resta incontrovertibile, anche se la famiglia oggi è una realtà complessa e caotica che muta giorno dopo giorno, e tante volte si dimostra inadeguata a gestire conflitti emotivi ed esistenziali. Vediamo genitori che cercano di riempire vuoti colmando i desideri materiali dei loro bambini, i quali inevitabilmente diverranno impreparati a gestire i rifiuti e incapaci di interiorizzare e riconoscere le regole, abituati a vivere in un mondo dove tutto sembra loro dovuto.

    Certo: essere genitore oggi richiede un’attenzione smisurata, e una grande capacità di cooperazione; di certo riconoscere le difficoltà di questo compito non è da considerarsi un fallimento. Pensiamo a quanto possa essere arduo fare una cosa importante come educare i figli alla rinuncia e a essere comunque felici incassando dei no. È fondamentale che l’idea della felicità che trasmettiamo ai nostri figli non si sviluppi in modo malsano poiché è impossibile un percorso di vita privo di ostacoli: ciascuno di noi nel corso della propria può (e forse deve) sperimentare perdite, mancanze o sentimenti negativi legati a esperienze poco gradevoli. Quando parliamo di consapevolezza e crescita ci riferiamo proprio a questa capacità di guardare dentro di noi e accettare le nostre debolezze, per superarle. Conoscere te stesso significa capire non solo chi sei, ma anche capire come puoi reagire agli eventi che ti circondano o agli imprevisti. Nello stile genitoriale moderno manca un po’ di quella autorevolezza di cui il bambino necessita. Ma manca anche il dialogo, perché, costretti a sottostare a ritmi di vita frenetici, spesso mamma e papà non hanno il tempo di percepire nel modo giusto il disagio dei figli e i loro bisogni più autentici. Di far loro da guida: e di proteggerli, per esempio, dal flusso costante e ingannevole di immagini che propinano una visione patinata e godereccia della vita, solo agi e benessere senza sacrifici, tutto il contrario dell’essere veramente felici. Di difenderli da una falsa percezione della realtà in base alla quale contano solo bellezza e ricchezza,  fonte di frustrazione, di errate aspirazioni, di erronee aspettative, e in definitiva di una infelicità che da latente si fa sempre più profonda.

    MMaria Simona Gabriele

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  • Vaticano, il nuovo papa è Leone XIV

    Vaticano, il nuovo papa è Leone XIV

    Giovedì 8 maggio 2025, alla quarta votazione del conclave apertosi dopo la morte d papa Francesco (ore 18.08 ca.), il cardinale Robert Francis Prevost, americano di Chicago, agostiniano, vescovo di Chiclayo (Perù), prefetto del Dicastero per i vescovi, è stato eletto CCLXVII papa. Ha scelto per se stesso il nome di Leone XIV. Queste le prime parole rivolte ai fedeli subito dopo la sua elezione.

    «La pace sia con tutti voi. Fratelli e sorelle carissimi, questo è il primo saluto del Cristo Risorto, il buon pastore che ha dato la vita per il gregge di Dio Anch’io vorrei che questo saluto di pace entrasse nel vostro cuore, raggiungesse le vostre famiglie, tutte le persone, ovunque siano, tutti i popoli, tutta la Terra. La pace sia con voi. Questa è la pace di Cristo risorto, una pace disarmata e una pace disarmante, umile e perseverante. Proviene da Dio, Dio che ci ama tutti incondizionatamente. Ancora conserviamo nelle nostre orecchie quella voce debole ma sempre coraggiosa di Papa Francesco, che benediva Roma. Il papa che benediva Roma dava la sua benedizione al mondo, al mondo intero, quella mattina del giorno di Pasqua. Consentitemi di dar seguito a quella stessa benedizione: Dio ci vuole bene, Dio vi ama tutti e il male non prevarrà. Siamo tutti nelle mani di Dio. Pertanto, senza paura, uniti, mano nella mano con Dio e tra di noi, andiamo avanti. Siamo discepoli di Cristo. Cristo ci precede. Il mondo ha bisogno della Sua Luce. L’unità necessita di lui come del ponte per essere raggiunta da Dio e dal Suo amore. Aiutateci anche voi, gli uni gli altri, a costruire ponti: con il dialogo, con l’incontro. Unendoci tutti per essere un solo popolo. Sempre in pace. Grazie a Papa Francesco».

    «Voglio ringraziare anche tutti i confratelli cardinali che hanno scelto me per essere successore di Pietro e camminare insieme a voi come Chiesa unita, cercando sempre la pace. La giustizia: cercando sempre di lavorare come uomini e donne fedeli a Gesù Cristo. Senza paura, per proclamare il Vangelo, per essere missionari. Sono un figlio di Sant’Agostino – agostiniano – che ha detto: con voi sono cristiano, e per voi vescovo. In questo senso possiamo tutti camminare insieme verso quella patria alla quale Dio ci ha preparato. Alla Chiesa di Roma un saluto speciale: dobbiamo cercare insieme come essere una chiesa missionaria, una Chiesa che costruisce ponti , e il dialogo. Sempre aperta a ricevere, come questa piazza, con le braccia aperte,  tutti, tutti coloro che hann bisogno, della nostra carità, della nostra presenza, del dialogo, dell’amore.»

    Seguono il saluto alla diocesi di Chiclayo,  la preghiera alla Madonna di Pompei e l’indulgenza plenaria.

    Gianluca Vivacqua

  • Franciscus

    Franciscus

    La morte di Papa Francesco ha sconvolto il mondo subito dopo Pasqua, a poche ore dalla sua apparizione su Piazza San Pietro e in diretta televisiva. Dopo il ricovero al Policlinico Gemelli, durato più di un mese, Jorge Mario Bergoglio è apparso in pubblico sempre seduto su una sedia a rotelle.

    Di fatto, il Pontefice non si era mai ripreso completamente dalla bronchite e,lunedì 21 aprile 2025, è stato colpito da un’emorragia cerebrale, causandone il decesso.
    Il papato di Franciscus, nome che verrà scritto sulla sua tomba, ha accompagnato i credenti per 12 anni, dal 13 marzo 2013, e gli ha fatto guadagnare il soprannome “Papa della Gente”. Infatti, per molto tempo ha rappresentato la semplicità e il distaccamento dai beni materiali, a partire dalla scelta del nome, Francesco, ispirato proprio al Santo che venerava la povertà, si poteva intuire un senso di cambiamento nell’istituzione della Chiesa.
    Come vorrei una Chiesa povera e per i poveri! Per questo mi chiamo Francesco: come Francesco da Assisi, uomo di povertà, uomo di pace. L’uomo che ama e custodisce il Creato; e noi oggi abbiamo una relazione non tanto buona col Creato.” Questa sua dottrina si è riflessa anche sulla scelta della sua residenza, infatti aveva scelto Santa Marta e non l’appartamento papale, proprio per allontanarsi dallo sfarzo e dal lusso. Bergoglio è stato amato anche per la sua umanità, una persona che si comportava come tale,
    anche sbagliando, come quando schiaffeggiò una fedele in Piazza San Pietro. Di fatto, nell’era dei social, è diventato virale più volte proprio per la sua naturalezza e semplicità, facendo percepire ai fedeli e non un senso di cambiamento, come quando nel marzo del 2019 rifiutò il baciamano dei fedeli, rompendo così una tradizione secolare. Anche in una delle sue ultime apparizioni è riuscito a sorprendere tutti quando, venerdì 11 aprile, si è recato a San Pietro con i pantaloni e un poncho per proteggersi dal freddo.
    Il primo Papa sudamericano, e il primo gesuita a guidare la Chiesa, si è fatto conoscere negli anni anche per i suoi discorsi semplici e naturali, con il suo accento e alcune traduzioni dirette, come quando ha detto di aver “dormito come un legno”. Infatti, in italiano può suonare strano, ma è una traduzione letterale di “dormir como un trónco” che è l’equivalente usato in Argentina.
    È stata proprio questa sua umanità e naturalezza che hanno portato Corrado Augias, giornalista e intellettuale notoriamente ateo, a rispondere alla domanda di Lilli Gruber “Che eredità ci lascia?”, che Francesco è stato il Papa dei laici. “Che eredità ci lascia, irrisolta secondo me, perché lui avrebbe voluto fare di più di quello che poi ha fatto. Tante volte ha cominciato con slancio, con generoso slancio, una campagna, delle dichiarazioni veementi, sorprendenti e poi ha dovuto fermarsi o fare un giro largo rispetto alle resistenze della curia, alcune diocesi, quelle nordamericane per cominciare. Alla sua domanda si risponde quale eredità ci lascia, lo capiremo quando avremo il nuovo Papa.”

    Infatti, per alcune delle sue dichiarazioni negli anni si è pensato che il Vaticano potesse permettere un’apertura nei confronti di quei tabù che da anni affliggono la sacra istituzione, un cambiamento che però non è mai arrivato. Già dal suo primo anno da Pontefice aveva acceso un barlume di speranza per una possibile apertura nei confronti degli omosessuali quando pronunciò la frase: “Chi sono io per giudicare?”, mentre parlava delle persone gay che cercano Dio. Anche la sua amicizia con Emma Bonino, leader radicale, ha dimostrato la sua voglia di cambiamento. Come lei stessa ha dichiarato, in un’intervista a La Stampa, su molti temi non andavano d’accordo, i primi fra tutti sono l’eutanasia e l’aborto, ma nonostante ciò era andato a trovarla nel novembre del 2024 e, nove anni prima, l’aveva chiamata mentre era in cura per un
    tumore al polmone sinistro.

    Papa Francesco sarà sicuramente ricordato come il Papa della Gente proprio per il suo comportamento da persona comune, inclusi alcuni scivoloni, come quando durante l’assemblea dei vescovi italiani ha detto: “C’è già troppa frociaggine nei seminari”.

    La salma di Bergoglio sarà nella Basilica di San Pietro fino sabato 26 aprile, giorno in cui si terrà il funerale e poi verrà sepolto a Santa Maria Maggiore insieme ai Pontefici: Onorio III, Niccolò IV, Pio V, Sisto V, Clemente VIII, Paolo V e Clemente IX. Di fatto, già dal 2022 aveva deciso che quello sarebbe stato il luogo della sua sepoltura, nel loculo tra la Cappella Paolina e la Cappella Sforza, chiudendo così un ciclo iniziato nel 2013 quando, come suo primo atto pubblico del suo pontificato, si recò ai piedi della Salus Populi Romani per lasciare un mazzo di fiori.

    Matteo Boschetti

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  • Ungheria, nuove modifiche costituzionali: 15 emendamenti in meno di 10 anni

    Ungheria, nuove modifiche costituzionali: 15 emendamenti in meno di 10 anni

    Nel caso in cui a qualcuno sia sfuggito il generale declino dell’ordine liberale e lo svilimento dei diritti umani a livello mondiale, il partito di destra guidato da Orbán in Ungheria si è recentemente mosso in una direzione inequivocabile.
    Il 14 aprile, infatti, l’Assemblea nazionale ungherese ha approvato a maggioranza una nuova modifica della Costituzione che comporta restrizioni sempre maggiori ai diritti civili, con particolare riguardo alla comunità LGBTQ+.

    Le strette “illiberali” nell’Ungheria di Orbán non sono una novità: molti sono stati nel corso di questi ultimi anni gli emendamenti alla Costituzione, (dal 2012 ad oggi sono state circa 15 le modifiche). Ma non solo.
    Il 18 marzo, per esempio, sono state approvate modifiche ad una legge del 2018 che regola il diritto di riunione e manifestazione nel Paese. La “furbizia” che ha scatenato le proteste e il risentimento di gran parte della popolazione, risiede nell’ordine “cronologico” con cui queste nuove modifiche alla Costituzione sono state apportate. Infatti, molti sostengono che gli emendamenti recenti non negano “esplicitamente” il riconoscimento dei diritti civili delle persone transgender e non è casuale.
    Il governo Orbàn ha opportunamente operato una stretta sulla libertà di manifestazione prima di procedere con la modifica della Costituzione che si articola sostanzialmente in due punti caldi: la legittimità del matrimonio valida solo fra uomo e donna perché “l’essere umano è uomo o donna” e, in secondo luogo, l’introduzione del concetto per cui la tutela dei bambini ha la precedenza su ogni altro diritto fondamentale, eccetto quello alla vita.
    Così facendo, con il primo emendamento si va a negare qualsiasi libertà di autodeterminazione di genere. Con la seconda modifica si va a creare una sorta di scudo normativo che, implicitamente, dietro la giustificazione della tutela dei minori, può andare a intaccare tutte quelle attività e libertà che il governo ritiene lesive del diritto del minore ad essere protetto. Nello specifico, molti hanno
    pensato al Pride che dovrebbe tenersi il 28 giugno nella capitale e che potrebbe fattivamente essere ostacolato da quanto stabilisce la Costituzione o meglio, da una interpretazione restrittiva della stessa.
    In effetti, si tratta di una manifestazione che (al pari di altre) le autorità possono vietare nella misura in cui si possa ragionevolmente presumere che arrecherà danno ai minori.
    Altro strumento di “repressione autoritaria” è l’introduzione di tecnologie di riconoscimento facciale da parte delle forze dell’ordine nei confronti dei partecipanti a raduni, riunioni e manifestazioni.
    A riprova della gravità dello stato di salute della democrazia ungherese, vi sono poi le preoccupazioni intorno alla paventata “sospensione della cittadinanza” (che è effettivamente il primo punto dell’emendamento) agli ungheresi che abbiano altri passaporti e che, a detta del governo, possono rappresentare quindi una minaccia per la sicurezza e l’ordine pubblico. Il rischio concreto è che si “abusi” di questa misura per reprimere il dissenso politico e fare gioco al governo
    o agli amici del governo.
    In ogni caso, bisognerà attendere che queste misure entrino effettivamente in vigore per comprendere quanti e quali saranno gli effetti e le ripercussioni sulla realtà politica ungherese, nonostante l’indignazione della Comunità internazionale che accusa Orbán di violazione del diritto comunitario.

    Gaia Serena Ferrara

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  • Luca Di Gialleonardo e i suoi gialli per ragazzi

    Luca Di Gialleonardo e i suoi gialli per ragazzi

    Luca Di Gialleonardo è un autore di gialli per ragazzi che abita a Roma dopo aver vissuto in numerose località del centro Italia. Classe ‘77, ha la sua storia, ma in questa intervista più che parlare della sua vita, si tratterà, almeno superficialmente (è un assaggio) di quello che scrive, delle sue storie, soprattutto i gialli per ragazzi che scrive per Gallucci Editore. Non sentitevi fuoriposto, leggendo l’intervista, prego.


    Luca Di Gialleonardo, scrittore a 360 gradi o 180 gradi (nel senso che scrivi pochi generi)?

    Bella domanda! Direi che non mi posso definire a 360 gradi, perché non scrivo tutti i generi letterari, ma ho coperto buona parte della circonferenza. Negli ultimi anni ho scritto maggiormente gialli, per adulti e ragazzi, ma in passato ho toccato anche il fantasy, la fantascienza, lo storico, l’horror. Chissà che non riesca prima o poi a completare il cerchio!

    Parlami de I Fuoriposto.

    I Fuoriposto è una serie di romanzi di genere giallo dedicata ai ragazzi dagli undici anni in su, sebbene siano adatti anche a lettori molto più giovani (ma anche più anziani!) La protagonista è Beba, una ragazza plusdotata che ha serie difficoltà non solo ad appassionarsi alla scuola, che la annoia a morte, ma anche a fare amicizia. Costretta dalla preside a lavorare al giornalino scolastico con Laura, una ragazza esuberante e piena di passione, imparerà cosa vuol dire fare squadra e ad avere un occhio diverso sul resto del genere umano. Insieme a Laura e Paolo (fratello di Laura) si troverà a indagare su diversi misteri, trovando finalmente qualcosa in grado di stimolare la sua mente sempre desiderosa di conoscenza. Nel primo romanzo della serie, La mummia scomparsa, dovranno scoprire come una teca che contiene una mummia egizia è finita nello scantinato di una clinica abbandonata in un paese di campagna. Indagheranno quindi su chi lascia dei “Dolcetti micidiali” (non solo in senso figurato) nei corridoi della scuola, per poi trascorrere le vacanze estive ne “Il campeggio della luna piena”, dove le cose spariscono e degli spiriti distruggono delle stanze in pochi istanti. Il 25 aprile uscirà il quarto romanzo della serie, “Lo scherzo è bello quando dura poco”, dove fra sfilate in costumi medievali e gare di tiro con l’arco storico, i protagonisti cercheranno di scoprire chi sta facendo degli scherzi davvero fastidiosi ad alcune persone della città.

    La tua giornata tipo (di scrittore) qual è?

    Non ho assolutamente una giornata tipo da scrittore. Avendo una famiglia impegnativa e un lavoro da portare avanti, non programmo mai il tempo per scrivere, ma cerco di approfittare al meglio del mio tempo libero, creandomelo a dovere quando necessario. Non sono lo scrittore che si vede nei film, che ha il suo angolo da dedicare alla scrittura, silenzioso, calmo, estremamente rilassante. Gran parte dei miei romanzi li ho scritti giorno dopo giorno su un treno, seduto tra migliaia di passeggeri e nel caos più totale. Se devo essere sincero, non credo che sarei in grado di scrivere in una mansarda, immerso in una dolce penombra, coccolato dal silenzio più totale. Sono un po’ come
    Beba, la protagonista de “I Fuoriposto”, amo il caos.

    Kenji Albani

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  • I nuovi gioielli di Pompei

    I nuovi gioielli di Pompei

    Ogni volta che una nuova scoperta viene annunciata sembra quasi di poter provare quell’emozione che dovette sentire chi, nel Settecento, trovò per la prima volta i resti di questa città – magica e maledetta insieme – che una tra le più grandi tragedie della storia ha cristallizzato con i suoi abitanti e la loro vita sospesa in un giorno del 79 d.C.: Pompei.
    E’ come uno scrigno che mai si esaurisce e che di tanto in tanto ci dona un nuovo gioiello, e sicuramente di recente questi doni sono stati a dir poco generosi.
    Perché se è vero che Pompei ci ha abituato a queste sorprese improvvise, bisogna pur dire che gli ultimi ritrovamenti sono stati spettacolari.
    Negli ultimi mesi, ad esempio, grazie a continue campagne di scavo a cui partecipano anche Università straniere come quella di Valencia che, appunto, è coinvolta nell’ultimo ritrovamento in ordine di tempo, sono venuti alla luce i resti di una nuova Villa con superbi affreschi – già ribattezzata come la seconda Villa dei Misteri – e due statue funebri a grandezza naturale che potrebbero ritrarre due sposi.
    La Villa, chiamata Casa del Tiaso, era composta da un grande edificio di cui è venuta alla luce una vasta sala – probabilmente una sala da pranzo – le cui pareti affrescate rappresentano fasi di iniziazione ai culti dionisiaci – da qui l’accostamento alla celebre Villa dei Misteri.
    L’affresco, in particolare, occupa tre pareti e raffigura una donna – colei che deve essere iniziata ai misteri – circondata da satiri, baccanti e danzatrici.
    Di notevole impatto visivo è poi il complesso scultoreo – un uomo e una donna, probabilmente una coppia di sposi – ritrovato presso la Necropoli di Porta Sarno.
    Le sculture facevano parte di un complesso funebre monumentale, il che legherebbe con ogni probabilità i due ad una famigli di alto rango e di larghe ricchezze.
    Le statue verranno sottoposte a breve a restauro per entrare a far parte della mostra “Essere donna nell’antica Pompei”.

    Dopo la scoperta di nuovi resti umani, che hanno raccontato nuovamente i loro ultimi tragici istanti, e di un thermopolium, che lascia stupiti per le sue pitture e l’impressione di “vita” che ancora porta con sé, i nuovi ritrovamenti confermano, se mai ve ne fosse bisogno, che Pompei è una città ancora tutta da scoprire e che non smette mai di raccontarci la sua storia, una storia stupenda e triste insieme, quanto mai reale, perché capace di riportarci con forza nella Roma più viva e autentica di duemila anni fa.

    Vittoria Caiazza

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  • Post Fata Resurgo -‘E capa ‘e core ‘e stommaco

    Post Fata Resurgo -‘E capa ‘e core ‘e stommaco

    Dello Sterminator Vesuvio fu cantore il gruppo operaio ‘E Zezi; di quella dannazione eterna, che lega alla propria terra in modo viscerale e morboso. Dannazione vesuviana, di una terra di lava, storia, folklore e madonne.

    Ma anche di resurrezioni: con “Post Fata Resurgo”, il risorgere nel post-mortem, scavallando la fatica, gli ostacoli e le barriere, Marsu e Torregrossa, tra masters of ceremonies e polistrumentismo, si fanno cantori di un ideale processo di coscienza intellettiva, elaborato attraverso una presa di posizione diretta e procace, in tempi frammentati e di idiozia massmediale, e trasmutato nel lavoro ‘e capa ‘e core ‘e stommaco, dove si esaminano le parti emozionali, razionali e ribelli dello stato umano. Guida “platonica” a un percorso sul filo, lungo una società sempre più alla deriva per cercare di recuperare gli ultimi residui di idee e sapienza. Una strada, quella dei due, che si inerpica verso un “iperuranio” moderno e denuncia le assurdità e le amenità del mondo di oggi, i suoi conflitti e le sue ingiustizie sociali, pur restando nei limiti di un messaggio artistico vibrante di atmosfere e rimandi (Totò, Viviani, La Famiglia, ma anche 99Posse, di cui si avverte la “presenza” in Tammurriata d’o precariato). Un album concettuale, di visione, che destruttura tanti luoghi comuni, e al contempo denuncia, come in Italiano!, o regala un rap prezioso, alto, e con finiture melodiche in ‘E Core. A distanza di cinque anni dal 2020, il duo rap-strumental sceglie di battere un confine molto labile, tra cultura e ideali, che ingloba capacità elettroniche, vicine alla popular music, e tinte rock ma anche cantautorali. Ottima l’intuizione di allargare la famiglia di sangue musicale stabiese con maestranze sapienti: parliamo di artisti come Giovanni Block, Brunella Selo, Marcello Coleman e Collettivo Vesuviano. I P.F.R. sono artisti di ampia scrittura, che dilatano il proprio linguaggio e messaggio oltre il semplicismo e la demagogia, e consentono al pubblico di trovare nel proprio lavoro un’importante chiave di lettura: la saggezza, la conoscenza e la temperanza, anche musicalmente, possono essere raggiunti cavalcando la strada delle proprie radici, l’importante è custodirle e difenderle in maniera attenta e premurosa.

    Sergio Cimmino

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