La guerra dei dodici giorni: dai bombardamenti israeliani al coinvolgimento americano
Mentre in Medio Oriente iniziano i flashbak dell’attacco preventivo di George W. Bush contro l’Iraq nel 2003 sembra che la guerra tra Israele e Iran sia già terminata. Martedì 24 giugno Donald Trump ha annunciato un cessate il fuoco tra Israele e Iran, ma i bombardamenti sono ripresi già nel pomeriggio. Il Tycoon stesso si è arrabbiato davanti alle telecamere, e ormai è diventato virale, dicendo: “Non sono felice con Israele” e poi ha continuato “non sono nemmeno felice con i leader iraniani, ma sono davvero scontento se Israele deciderà di colpire di nuovo”.
Ha concluso l’intervista, dirigendosi verso il Marine One, affermando: “Abbiamo due stati che hanno combattuto così a lungo e così duramente che non sanno più cosa c*zzo stanno facendo”. Nonostante, la situazione sembra essere già tornata ad una pace, almeno temporanea, rimangono momenti di tensione, soprattutto per i paesi confinanti e quelli della Nato.
In meno di quindici giorni abbiamo vissuto un pezzo di storia che lascerà l’amaro in bocca per molto tempo. Infatti, dall’inizio dei bombardamenti israeliani contro il territorio iraniano del 13 giugno con l’operazione “Rising Lion”, l’Iron Dome non ha mai smesso di funzionare. In effetti, Israele ha iniziato colpendo delle centrali nucleari e dei siti di arricchimento dell’uranio. Anche per questo, i politici iraniani volevano proporre una legge che permettesse al Paese di uscire dal trattato di non proliferazione delle armi atomiche, attualmente ancora in vigore.
Tuttavia, il rapporto tra Teheran e il nucleare è complesso. Infatti, nel 2015 aveva firmato con i cinque vincitori della seconda guerra mondiale e la Germania un accordo sul nucleare (Jcpoa).
Nello specifico, prevedeva la rimozione delle sanzioni per l’Iran in cambio di accedere liberamente alle strutture nucleari iraniane, anche disponendo delle telecamere fisse. Purtroppo però, nel 2018, durante il primo mandato di Trump, gli Usa hanno voluto stracciare il patto con Teheran reintroducendo le sanzioni. Per questo motivo, l’Iran ha iniziato a non rispettare più gli impegni presi con il Jcpoa, incrementando l’arricchimento di uranio e vietando l’accesso agli ispettori, aumentando così le tensioni.
Il culmine si ebbe nel febbraio del 2021, quando Teheran annunciò la fine della collaborazione con l’Aiea, Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica, che è un organo delle Nazioni Unite. La situazione è rimasta in stallo fino all’attacco israeliano quando, per via della crisi politica, gli ispettori della Aiea sono stati costretti ad abbandonare il loro ruolo di controllo sull’uranio arricchito, circa 409 chilogrammi, che era nel sito sotterraneo di Isfahan.
In effetti, come riporta El País, secondo la Defence Intelligence Agency (DIA) il programma nucleare iraniano è stato poco danneggiato, arretrato al massimo di qualche mese. Di fatto, sembra che i componenti chiave per il piano nucleare, come le centrifughe, possano essere ricostruiti in poco tempo e che, soprattutto, l’Iran sia riuscito a spostare l’uranio arricchito prima dell’attacco in qualche struttura segreta.
Nonostante l’attacco statunitense sia stato giustificato agli occhi dell’Occidente come l’unica soluzione per fermare la costruzione della bomba atomica iraniana, i politici sono stati smentiti dall’Aiea nel giro di poco tempo. Infatti, nonostante l’arricchimento dell’uranio abbia superato i limiti imposti dall’Agenzia stessa, Teheran è ancora distante da avere una bomba nucleare funzionante.
Tuttavia, gli Stati Uniti sono voluti intervenire preventivamente. Nello specifico, 7 bombardieri B-2 americani hanno sganciato quattordici bombe anti-bunker da 14 tonnellate su due siti nucleariiraniani: Natanz e Fordow. Entrambe le strutture erano utilizzate per arricchire l’uranio ed entrambi erano nascosti in profondità, di fatto, Natanz è circa una ventina di metri sotto terra, mentre Fordow a ben 70-80 metri. Proprio per questo, rispettivamente sono state sganciate solo due bombe sul primo obiettivo e dodici sul secondo.
Per questo tipo di operazione c’è solo una candidata: la GBU-57 A/B MOP. Infatti, grazie al suo peso e dalla quota di lancio, circa dodici chilometri d’altezza, si stima che riesca a penetrare circa 60 metri di terra o ben 18 di calcestruzzo armato. Proprio per il suo peso e le sue dimensioni, circa 6,5 metri di lunghezza, solo il B-2 Spirit è in grado di trasportarla e può trasportarne addirittura due. Inoltre, come se ciò non bastasse, grazie al rivestimento, che assorbe le onde radio, e alla sua forma è quasi impossibile da individuare finché non sgancia il carico bellico.
L’operazione, almeno inizialmente, sembrava essere partita dalla base Diego Garcia, nell’oceano indiano, ma sembra che in realtà il decollo è avvenuto nella base Whiteman Air inMissouri. Nonostante le dichiarazioni di Trump sul successo dell’operazione, che secondo il Presidente avrebbero causato danni ingenti, non si sa ancora se sia effettivamente così. Infatti, dalle immagini satellitari si possono vedere i fori di entrata, ma neanche l’Aiea può raggiungere il sito per controllare la struttura sotterranea. La missione, almeno nella terra delle stelle e strisce, è stata accolta con due reazioni contrastanti: o è considerata un successo della potenza bellica statunitense o come un attacco alla democrazia americana per non aver avvisato in anticipo il Congresso, come lo stesso Bernie Sanders accusa. Fatto sta che anche lo stesso Segretario Generale della Nato, Mark Rutte, nato in Olanda, ha espresso il suo parere sull’operazione Usa definente il Tycoon come “uomo di forza e di pace” e che non abbia violato il diritto internazionale. Tuttavia, mentre il diritto interno degli Stati Uniti è più “elastico”, vedendo anche le operazioni condotte dai predecessori di Donald Trump, sul diritto internazionale non ci sono dubbi. Di fatto, l’articolo due, comma 4, della Carta delle Nazioni Unite riporta chiaramente: “Tutti i Membri devono astenersi, nelle loro relazioni internazionali, dalla minaccia o dall’uso della forza contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato, o in qualsiasi altra maniera incompatibile con i fini delle Nazioni Unite”. Ma, purtroppo come penso sia chiaro a tutti, in molte occasioni sono rimaste soltanto delle parole sulla carta, giustificando le violazioni con la cosiddetta difesa preventiva, prima tra tutte l’invasione dell’Iraq da parte di George W. Bush.
Matteo Boschetti
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