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Venezia 82

A Venezia il vento soffia da Est: di un Medio Oriente mai così lontano dalla pace, e di un cinema che tiene a ricordarcelo.

Il concorso per il Leone d’oro vanta una giuria di prim’ordine: al timone Alexander Payne, affiancato tra gli altri da Maura Delpero, Cristian Mungiu e Zhao Tao.

Il Leone d’oro per il miglior film va a Jim Jarmusch per il suo Father Mother Sister Brother, dramma a episodi sulle vicissitudini di una famiglia divisa. Jarmusch strappa il titolo ad altri candidati di rilievo: tra questi Guillermo del Toro con Frankenstein, Jorgos Lanthimos che con Bugonia rinsalda il sodalizio con Emma Stone, e il ritorno al cinema di Kathryn Bigelow con A House of Dynamite; ci sono anche gli italiani Duse di Pietro Marcello e La grazia di Paolo Sorrentino, quest’ul-timo insignito della Coppa Volpi a Toni Servillo come miglior interprete maschile.

Sul podio con Servillo è Xin Zhilei, miglior attrice in Rì guà zhōngtiān (The Sun Rises on Us All), dramma di produzione cinese sull’incontro di due ex-amanti. Nulla invece per Franco Maresco, quest’anno concorso col mockumentary metafilmico Un film fatto per Bene, mentre al documentario Sotto le nuvole di Gianfranco Rosi e a En el camino di David Pablos va il Premio speciale della Giuria; Leone del futuro alla russa Nastia Korkia e al suo Short Summer.

La voce di Hind Rajab, di Kawthar ibn Haniyya, si aggiudica il Leone d’argento e il Gran Premio della Giuria. Dedicato alla tragica storia vera di una bambina vittima dei bombardamenti a Gaza, il film della regista tunisina fa anche incetta di premi collaterali: tra questi il premio ArcaCinema Giovani, il premio CICT-UNESCO, il premio Edipo Re e il premio della Croce Rossa Italiana. Facile gridare alla vittoria politica; sia come sia, la vittoria di Haniyya è inequivocabile segno dei tempi.

Il Leone d’argento per la miglior regia va invece a The Smashing Machine di Benny Safdie (in solitaria dopo il lungo sodalizio col fratello Joshua), grazie al quale Dwayne Johnson, nel ruolo del wrestler Mark Kerr, sembra essere finalmente tornato a un cinema di grandi ambizioni; la miglior sceneggiatura ad aggiudicarsi l’argento è invece quella di À pied d’œuvre di Gilles Marchand e Valérie Donzelli, quest’ultima anche regista. Infine il premio Marcello Mastroianni va a Stille Freundin, biografia secolare di un albero nel corso del secolo breve.

La sezione Orizzonti è guidata dalla francese Julia Ducornau (reduce da Alpha, dramma body horror presentato a Cannes nel Maggio scorso), coadiuvata dall’italiano Yuri Ancarani e dall’australiana Shannon Murphy. Con lei Orizzonti premia Songs of Forgotten Trees di Anuparna Roy, dramma a due sull’emigrazione ambientato a Mumbai, per la miglior regia; doppietta italiana per i migliori interpreti, ovvero Benedetta Porcaroli per Il rapimento di Arabella e Giacomo Covi per Un anno di scuola.

La miglior sceneggiatura di Orizzonti è invece del minimale Hiedra, dell’ecuadoriana Ana Cristina Barragán. Miglior cortometraggio è Utan Kelly, storia di una ragazza madre diretta dalla svedese Lovisa Sirén. Infine spunta l’ombra del fu Armani, dal momento che la marocchina Maryam Touzani si aggiudica il Premio Armani Beauty con Calle Malaga.

Molti i premi collaterali: tra questi il premio Film Impresa (Unindustria) a Roberto Andò con Ferdinando Scianna – Il fotografo dell’ombra; Green Drop Award a Bugonia di Lanthimos, Graffetta d’oro a Frankenstein di Del Toro e premio FEDIC all’horror di Paolo Strippoli La valle dei sorrisi. Ancora una volta La voce di Hind Rajab è letteralmente sommerso da premi, che si aggiungono al Leone d’argento e ne fanno il vero vincitore morale dell’edizione. Grande sconfitto è invece A House of Dynamite, per il quale pure Bigelow è tornata al cinema dopo otto anni di assenza.

Voglia di nuovo insomma, e per i maestri consolidati – salvo Jarmusch – sembra esserci poco da rivendicare; d’altra parte anche questo è segno di un cambiamento che la Mostra non fa che riflettere, come ha sempre fatto.

Ci si può consolare coi premi alla carriera: a Dario Argento è assegnato il Premio SIAE “Andrea Purgatori”, mentre il Leone d’oro per una vita dedicata al cinema va a Kim Novak e, ultimo ma non per ultimo, a Werner Herzog. Non c’è che dire, era anche ora.

L’ultima parola vada pure al vincitore Jarmusch, anche lui col dito ben piantato sul polso del tumulto odierno: «L’arte non deve necessariamente parlare di politica per essere politica» chiosa il regista; «l’empatia è il primo passo per affrontare i problemi che ci circondano».

Fabio Cassano

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