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  • Lega: l’avvento di Vannacci

    Lega: l’avvento di Vannacci

    Vannacci è il vero leghista salviniano, il primo militante leghista creato direttamente in laboratorio dal dott. Salvinenstein. Cooptato nel partito verde da un segretario affascinato dal suo Mondo al contrario e dalle tesi “raddrizzamentiste” formulate in esso, il generale il 6 aprile ha smesso di essere un indipendente gravitante nell’orbita della Lega ed è diventato finalmente un tesserato.

    La creatura si ribellerà al creatore? A Salvini verrà imputato, in futuro, di aver spregiudicatamente aperto il partito ai militari? Che abbia in testa l’idea di un ticket, in base al quale Vannacci potrebbe andare a breve alla guida del partito e Salvini sarebbe libero di dedicarsi anima e corpo alla scalata al Viminale? C’è sempre un prezzo da pagare per arrivare (o per tornare) al grande traguardo politico: l’ultima volta fu il matrimonio con i Cinquestelle, che poi proprio Salvini per la troppa ambizione fece naufragare. Da ministro dell’Interno puntava a diventare premier, invece, abbandonata la barca, si ritrovò da un giorno all’altro semplicemente all’opposizione. Aveva fatto un ribaltone alla Bossi, ma con risultati ancora peggiori.

    Se Salvini, dunque, vorrà sgravarsi dalle responsabilità direttive della Lega per inseguire i suoi sogni di gloria che Lega sarà quella consegnata a un Vannacci pronto a conquistare posizioni di sempre maggior potere? Uomini in divisa come alti dirigenti di partito in Italia li abbiamo visti nell’MSI (Borghese e Graziani, presidenti) e nel Partito Monarchico (Covelli, presidente e segretario). Si tratta di partiti intrinsecamente marziali, bellicisti dentro: il culto del militarismo ne era un carattere costitutivo. Ma la Lega non ha certo tradizioni di combattentismo o di revanscismo guerresco: in fondo nasce come movimento delle autonomie regionali che si proponeva di rimanere locale pur entrando nei gangli vitali della politica nazionale. Puntava certamente a dar voce a una protesta forte e anche violenta contro Roma da parte dei contadini, degli artigiani, degli industriali e dei professionisti del profondo Nord, ma di sicuro non con fucili, pistole, mitragliatrici e bombe: al massimo era contemplato qualche folcloristico forcone. Una forza finto-insurrezionalista che, entrata in Parlamento, nella stanza dei bottoni, divenne prima “guastafestista” – servendo da modello nientemeno che alla Rifondazione comunista bertinottiana, traino alla vittoria del suo schieramento e poi killer dello stesso – e in seguito ancillare, avendo ben cura però di ottenere garanzie circa il consolidamento dei suoi feudi in Italia settentrionale: era la Lega di Bossi, romantica, ruspante, ribelle, pacchianamente spartachiana. Poco a che vedere con la Lega patriottico-nazionalista di Salvini.

    Gianluca Vivacqua

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  • The Shrouds – Segreti sepolti

    The Shrouds – Segreti sepolti

    Titolo originale: The Shrouds

    Regia: David Cronenberg

    Produzione: Canada/Francia, 2024

    Durata: 119′

    Cast: Vincent Cassel, Diane Kruger, Guy Pearce, Sandrine Holt, Gray Foner, Myrna Slotnik

    Il ricco imprenditore Karsh (Vincent Cassel) ha costruito un singolare impero economico: una catena di cimiteri di ultima generazione, grazie a una tecnologia di sua invenzione che, con uno speciale sudario elettronico, permette il monitoraggio continuo dei sepolti. Karsh non si dà pace dalla perdita dell’amatissima moglie Becca (Diane Kruger) di cui monitora costantemente la salma tramite la sua invenzione. Quando uno dei suoi cimiteri viene preso d’assalto, la ricerca dei colpevoli fa sì che l’uomo, insieme alla cognata Terry (Kruger), gemella della defunta moglie, e del programmatore ed ex-cognato Maury (Guy Pearce) entri in un vortice di mistero tra attacchi informatici, gruppi di protesta e spionaggio industriale, nella cui indagine il ricordo della consorte innesca una dinamica pericolosa.

    Nulla di più facile che accostarsi a The Shrouds con l’aspettativa dell’opera-testamento. D’altra parte è almeno da Cosmopolis (2012) che David Cronenberg pare voler mettere in scena la propria morte, ed è altrettanto innegabile come sia Viggo Mortensen in Crimes of the Future (2022), sia Vincent Cassel in questa sua nuova opera, siano a tutti gli effetti un doppio del maestro canadese.

    La voglia di epitaffio è tanta, per un film che parla di morte e morti con la naturalezza di chi ha già la fine in vista, che ha al suo centro il cadavere come memoria ultima di e per i vivi. Ci si sbaglierebbe, dal momento che The Shrouds è tutt’al più un testamento teorico di un regista tornato ad abbracciare il proprio immaginario, forte della consonanza con uno Zeitgeist che dal maestro della “Nuova Carne” sembra aver appreso tutte le lezioni sbagliate.

    Giacché di manifesto teorico si tratta, The Shrouds è quanto di più vicino Cronenberg abbia fatto alla vecchia scuola dello sguardo: vicinissimo, per ossessioni e linguaggio, a Blow-Up di Antonioni, il film è non tanto una riflessione sulla morte, quanto sulla realtà di chi vive ancora, sull’impossibilità di mappare il vero, di separare alchemicamente la realtà dal groviglio delle sue rappresentazioni; il mistero non è qualcosa da risolversi, ma col quale dovere – per quanto si può – convivere serenamente.

    Cronenberg infila nel discorso pezzi vecchi e nuovi del suo immaginario: mutazioni chirurgiche, raddoppiamenti, lo spazio netto e astratto dell’amata Toronto quale “Interzona” di un mondo alla deriva; digitale e carnale coesistono e si confondono, sullo sfondo di terrorismo e spionaggio di corporazioni ombra. Non c’è da credere a niente e in niente, i morti marciscono e i vivi si arrabattano.

    Le manie sono anche quelle del tempo, dagli hacker russi e cinesi al revival brutalista, dall’ecoterrorismo alla generazione New Tech; su tutte l‘Intelligenza Artificiale che, a forza di deliri generativi, sembra mutare l’uomo e non se stessa in simulacro dell’umano. Il regista è straordinariamente a suo agio con le risorse tecniche e tematiche di questo nuovo mondo (almeno quanto era invece in impaccio nel romanzo Divorati), gioca con gli artifici del digitale, accosta la meme culture, va dritto al cuore putrido di una tele-presenza che è sempre più tele-assenza – assenza di noi, della fede che l’uomo poteva ancora avere in se stesso, della sua capacità di giudizio in un mondo di finzioni.

    Lo credevamo trans-umano, post-umano, post-moderno e qualunque altro “post” venga in mente: e invece eccolo, Cronenberg, fin troppo umano, come un alchimista che cerchi di separare l’uomo dal suo riflesso. Lo fa anche con stile, quel suo stile che negli anni si è sempre più rarefatto, perseguendo un’austerità dell’immagine che nella sua schiettezza e precisione formale corteggia la potenza del geroglifico: impossibile non pensare a un altro grande moralista del cinema, a Paul Schrader che col suo Oh, Canada (già, appunto, il Canada) inchiodava l’uomo ai suoi fantasmi nello specchio del video, lontanissimo da qualsiasi velleità dell’immagine per sé.

    Una clinica operazione formale, si direbbe dunque. Sbagliato: The Shrouds è a mani basse il film più lirico, più sincero, più melodrammatico dell’ultimo Cronenberg. Era dai tempi di M. Butterfly (1993) che il canadese non approcciava l’amore e il suo trauma con tanta verità: il mèlo è senza vergogna, la carnalità dell’amplesso ribalta la freddezza del sesso in Crash (1996), il ricordo non abbandona il senso tattile dell’amare.

    Certo il vissuto fa la sua parte: il regista elabora la perdita dell’amatissima moglie Carolyn, scomparsa a 66 anni per un tumore; la morte, si sa, spegne una vita ma non un rapporto. La carne ricorda: noi amiamo i corpi che ci hanno stretti nel buio, i visi che abbiamo baciato, le bocche che ci hanno parlato o hanno taciuto. Amore e morte hanno sempre fatto parte del discorso di Cronenberg, ma quasi mai prima con una sincerità così evidente, così libera da ogni vezzo, così personale.

    L’autobiografismo è spoglio e senza patemi; c’è anche spazio per il lascito spirituale, per quelle origini ebraiche che il regista riscopre senza patetismo; The Shrouds esprime senza più angoscia l’accettazione – questa realmente rabbinica – dell’esistenza quale mistero, da indagare quel tanto da poter vivere.

    Al centro della piccola, affollata scena cimiteriale, gli attori danno il loro meglio: Diane Kruger è in stato di grazia nel triplo ruolo di Becca, Terry e Hunny (questa il suo avatar digitale), umanissima nell’incarnare una fisicità fragile, sofferente, dimessa e insieme crudelmente sensuale; Guy Pearce è la variabile impazzita, calibratissimo in un ruolo che minaccia a ogni passo di farsi caricatura.

    Quanto a Vincent Cassel, poco da dire: è lui il vero araldo del regista, il suo doppio artistico e personale; Cassel distilla le forme minute del lutto, modella con scioltezza un personaggio che per naturalezza pare essersi scritto da solo, sublima in fragilità serafica una figura che, in mano ad altri attori e registi, sarebbe stata al più una parodia dei vari Bezos, Cook e Musk.

    Insomma un rilancio dell’umano, questo The Shrouds, da un umanista indefesso quale Cronenberg – a lungo additato come un cinico macellaio dell’orrore. Che siano gli altri, tanto per cambiare, a celebrare la nuova carne: forse, nel mare di nuove carni di questo mondo, è ancora il caso di tenersi stretta quella vecchia, e amarla per quel si può.

    Fabio Cassano

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  • Spera – Papa Francesco

    Spera – Papa Francesco

    Edito da Mondadori ed uscito pochi mesi fa, Spera è un libro eccezionale, per il suo titolo così semplice eppure così potente, per il suo messaggio così forte e per ciò che è concretamente: l’autobiografia di un Papa. Di Papa Francesco.
    Ricostruendo le proprie origini e quelle della propria famiglia, il Pontefice ci riporta nell’Italia di inizio Novecento, povera, umile, ma sana, al cospetto di una generazione costretta ad intraprendere viaggi lunghissimi in mare per iniziare una nuova vita in terre sconosciute, lontane dalla propria madrepatria. E’ proprio quello che è accaduto ai suoi antenati costretti ad abbandonare il Piemonte e la Liguria e ad emigrare in Argentina, dove Papa Bergoglio è nato nel 1936.
    Attraverso una narrazione semplice, quasi colloquiale, a tratti perfino divertente e commossa, il Pontefice ci porta nei giorni spensierati della sua infanzia, nel cuore di una famiglia molto unita e tenuta in piedi soprattutto dalle forti figure femminili, alle quali Francesco rivolge dolcissimi ricordi – la madre in particolare, ma anche la nonna e le sorelle. Ci racconta poi delle sue passioni – quella del calcio, innanzitutto, che lo accompagna tuttora – e non risparmia critiche a sé stesso, per un comportamento tenuto in passato, per una parola non detta quando occorreva…
    Ciò che emerge da questa lettura bella è la profonda umanità di questo Pontefice, che ha stupito il mondo intero per la sua ostentata semplicità – a volte perfino dividendo l’opinione pubblica e addirittura scandalizzando alcuni – e che imponendosi da subito per il suo messaggio di semplicità e povertà – come il nome stesso da lui scelto, quello del Poverello di Assisi, testimonia – ha saputo affrontare con coraggio alcuni dei momenti più difficili della contemporaneità.

    Vittoria Caiazza

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  • Trump, Putin e Zelensky: tra accordi e tensioni per la tregua in Ucraina

    Trump, Putin e Zelensky: tra accordi e tensioni per la tregua in Ucraina

    Mentre l’Europa pensa al riarmo, la guerra in Ucraina potrebbe raggiungere un cessate il fuoco provvisorio per 30 giorni in vista di una futura tregua. Infatti, sembra che l’isolamento di Putin sia finito da quando Trump è diventato Presidente. Dopo la trappola tesa nello Studio Ovale a Zelensky il 28 febbraio, dalla quale è uscito
    umiliato, i due leader sembrano avere un “nemico” in comune. Di fatto, il Tycoon ha ribadito più volte che si trova meglio a parlare con il Presidente russo piuttosto che con il “comico mediocre e dittatore senza elezioni”.

    “We’re very much on track”
    Dopo essere andato a Mosca il 13 marzo, Steve Witkoff, negoziatore dell’amministrazione americana e inviato speciale per il Medio Oriente, ha dichiarato alla CBS che la Casa Bianca può già ipotizzare a quali territori interessino alla Russia in un possibile trattato di pace, tra cui la centrale nucleare di Zaporizhzhia, la più grande
    d’Europa, occupata dai russi dal marzo 2022. Di fatto, nella telefonata tra Putin e Trump di martedì 18 marzo, si è discusso della sospensione temporanea degli attacchi contro le infrastrutture energetiche ucraine, da sempre nel mirino di Mosca. Anche se si tratta solo dell’inizio di una possibile tregua duratura, per il momento i leader dei tre Paesi coinvolti sembrano aver raggiunto un accordo, almeno temporaneamente. È probabile che in futuro venga discussa anche la possibilità di un cessate il fuoco marittimo nel Mar Nero come un ulteriore passo verso la fine della guerra. Il giorno dopo il colloquio tra le due potenze, quindi mercoledì 19 marzo, Zelensky ha voluto contattare il Presidente per sapere di cosa hanno parlato. Tramite un post sui social, Trump ha dichiarato che la telefonata è stata incentrata sugli argomenti trattati con Putin il giorno precedente e l’ha definita “molto positiva”.

    Condizioni per la pace
    Una delle condizioni chiave per la fine della guerra, come riporta l’agenzia Ria Novosti, è la cessazione degli aiuti militari stranieri all’Ucraina, come ha ribadito più volte il leader del Cremlino, ma il Tycoon afferma che quell’argomento non è stato trattato durante il colloquio tra i due. Un altro elemento fondamentale è
    l’interruzione della trasmissione di informazioni di intelligence a Kiev e l’eliminazione delle cause radicali del conflitto, che però non vengono specificate.
    Un argomento non affrontato, ma che rimane di vitale importanza, è quello di un possibile contingente militare di peacekeeping, come ha proposto Zelensky più volte, ma per il Presidente ucraino devono venire coinvolti direttamente gli americani. Infatti, secondo lui, nonostante ci siano Paesi europei che sarebbero disposti ad
    inviare delle truppe, tra cui in special modo Inghilterra, Francia e Polonia, nessuno sarebbe disposto a rischiare senza la presenza degli Stati Uniti. La Casa Bianca, inoltre, ha voluto evidenziare che uno degli obiettivi è quello di migliorare le relazioni bilaterali e che il Medio Oriente potrebbe essere il punto di partenza per la collaborazione tra le due potenze. Di fatto, durante la telefonata si è trattata la necessità di prevenire futuri conflitti nella regione, ma è stata sottolineata
    anche la necessità di fermare la proliferazione di armi strategiche, anche in previsione del trattato “New START” previsto per febbraio 2026. Un elemento che l’amministrazione Trump ha voluto mettere in chiaro, sul quale i russi sembrano essere d’accordo, è che “l’Iran non dovrà mai essere in grado di distruggere Israele”.
    Ciò arriva pochi giorni dopo la ripresa del conflitto tra lo Stato ebraico e Hamas.

    Cessate il fuoco in bilico: scambio di prigionieri, ma i bombardamenti continuano
    Il Presidente incaricherà Marco Rubio, Segretario di Stato, e Mike Waltz, Consigliere per la sicurezza nazionale, per stilare l’accordo del cessate il fuoco, provando ad includere anche il Mar Nero. Tuttavia, non è ancora stata stabilita una data per l’incontro tra le due delegazioni, né tantomeno tra i due Presidenti. Inoltre, potrebbero
    sorgere dei problemi per l’accordo, poiché la Russia vuole tagliare gli aiuti dell’Ucraina, ma il governo finlandese ha appena approvato un pacchetto da 200 milioni di euro. La questione più spinosa, tuttavia, resta quella dei territori conquistati dai russi. Di fatto, se consideriamo anche la Crimea, la Russia ha conquistato il 20% del
    territorio ucraino, ma Zelensky appare irremovibile nel rifiuto categorico di qualsiasi concessione. Di recente, Rubio e Pete Hegseth, Segretario della difesa, hanno affermato che l’Ucraina si deve preparare a riconoscere almeno in parte le conquiste russe, soprattutto quelle derivanti dalla guerra del 2014. Nonostante ciò, i rapporti tra le due Nazioni sembrano essersi leggermente distesi: nella giornata di mercoledì 19 marzo è avvenuto uno scambio di 350 prigionieri totali, 175 per parte. Tuttavia, i bombardamenti continuano, colpendo ancora le infrastrutture energetiche e, secondo quanto affermato da Zelensky, anche mezzi di trasporti e due ospedali. Infatti, Mosca avrebbe lanciato 150 droni, ma anche le forze ucraine hanno continuato ad attaccare.

    L’Europa si riarma
    Le intenzioni europee di sicuro non sono quelle di rimanere a guardare e lasciare che Donald Trump gestisca tutto da solo. Supportata anche dal Presidente ucraino, l’UE punta a ottenere un posto al tavolo dei negoziati e si prepara a un futuro in cui gli Stati Uniti potrebbero abbandonare la difesa del continente. Infatti, con la recente approvazione della “Proposta di risoluzione sul libro bianco sul futuro della difesa europea”, l’Unione è pronta a stanziare fino a 650 miliardi di euro da investire nella difesa e altri 150 miliardi da concedere in prestiti agli Stati membri per investirli nel settore della difesa. Il Piano ReArm prevede anche il coinvolgimento del settore privato, preoccupando economisti e forze politiche. Di fatto, la critica che viene rivolta a questa strategia è quella di aumentare le tensioni internazionali.

    Matteo Boschetti

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  • PICASSO lo straniero

    PICASSO lo straniero

    Dal Palazzo Reale di Milano (dal 20 settembre 2024 al 2 febbraio 2025) PICASSO lo straniero arriva a Roma, tra le vie più belle della capitale, in via del Corso, presso il Palazzo Cipolla. Inaugurata soltanto il 27 febbraio scorso quella su Picasso pare essere la più aspettata frequentata e visitata tra le mostre romane e italiane.

    Anche l’acquisto del biglietto è impresa non da poco e, nella strada, già notoriamente affollata del centro storico di Roma, si riescono a distinguere i numerosi ed entusiastici gruppi di individui e turisti, tutti di nazionalità diverse, anche loro – che aspettano di entrare per conoscere il (quasi) s-conosciuto Pablo Picasso, presentato per la prima volta in una nuova veste.

    La mostra resterà a Roma sino al 29 giugno.

    Pablo Picasso è, indiscutibilmente, tra gli artisti del Novecento fra i più noti al mondo intero. La sua fama si sparge tra il sofisticato amore degli addetti ai lavori e la sua popolarità arriva sino al grande pubblico.

    Tutti conoscono Pablo Picasso.

    Tutti ne parlano. Tutti ne hanno parlato almeno una volta nella loro vita e non importa se spinti da motivazioni diverse.

    E, il paradosso, risiede proprio nella risonanza che Picasso lascia dietro di se: è stato detto tutto su Pablo Picasso e per questo ne è difficile parlarne ancora.

    La mostra, ideata da Annie Cohen-Solal, organizzata dalla Fondazione Roma in collaborazionecon Marsilio Arte, si realizza inoltre grazie alla collaborazione con il Musée national Picasso-Paris, principale prestatore, il Palais de la Porte Dorée, il Museu Picasso Barcelona, il Musée Picasso di Antibes, il Musée Magnelli – Musée de la céramique di Vallauris e importanti e storiche collezioni private europee, la mostra presenterà più di 100 opere dell’artista, oltre a documenti, fotografie, lettere e video: un progetto che si arricchisce – per la terza tappa italiana dopo Palazzo Reale di Milano e Palazzo Te a Mantova – di un nucleo di opere inedite, selezionate dalla curatrice esclusivamente per il percorso espositivo di Palazzo Cipolla (fonte: museodelcorso.com).

    Non solo una mostra ma una celebrazione-evento tutta intenta a mostrare il Picasso uomo, alle prese con una delle questioni culturali più comuni al genere umano, in qualunque tempo e parte del mondo: Picasso migrante: un uomo e un artista messo ai taciuti confini di luoghi e spazi che lo riconoscono come: straniero.

    La condizione di ”straniero” e i fatti culturali e sociali che ne conseguono sono tristemente affollati e vissuti anche in questi tempi contemporanei. La mostra pare essere nient’altro che una eco che documenta attaverso, una narrazione semplice e lineare, la condizione umana di Picasso che si riflette sulla sua opera e che fa dell’opera stessa una riflessione del mondo e dell’uomo, spesso vittima, di una società  perseguitante.

    Pablo Picasso nasce il 25 ottobre 1881 a Malaga, in Spagna, e quando morirà, nell’anno 1973, in Francia, sarà lui a scegliere di restare straniero, non morirà da francese perchè Mougins sarà solo un pezzo di terra qualunque.

    La sua storia (personale e individuale) fanno della sua arte una necessità personale e un’esperienza collettiva capace di mostrare un uomo maltrattato e messo all’angolo dalle istituzioni che dimenticano di esserci per tutelare l’indivuo e non per costruirgli addosso un muro di cemento capace di confinarlo ovunque la burocrazia voglia.

    Tra i corridoi del Palazzo Cipolla conosciamo l’uomo Picasso: la vulnerabilità umana; la visione politica e la poetica, la sua ricerca artistica espressa nelle sue opere e raccontate nei documenti e nelle lettere, nelle fotografie e i nei video, in totale un centinaio, il ruolo sociale e l’impegno civile sono, non solo evidenti, ma emergono lì ovunque lui stesso sia stato. In ogni luogo e forma di sé.

    La Mostra si apre con L’Adolescentopera di collezione privata, che Picasso dipinge a Parigi nel 1969, a ottantotto anni, solo quattro anni prima del  compiersi della sua vita, e termina con un documento video, voluto da suo figlio Claude, che mostra le sue case e i suoi studi, così come erano e così come li aveva lasciati attraversati dalla sua produzione artistica infinita.

    Claudia dell’Era

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  • E i passeri ridono: Gene Hackman

    E i passeri ridono: Gene Hackman

    Storiella: c’è un giovane portiere all’Essex House di New York. Vorrebbe fare l’attore, ma non ne è sicuro; fatto sta che la sua carriera non decolla. Davanti all’hotel parcheggia il suo vecchio comandante, un fantasma del periodo nei Marines; il ragazzo dovrebbe prendergli i bagagli, ma è distratto; l’ufficiale lo fredda: «Eri un buono a nulla e sei ancora un buono a nulla».

    Il giovane si chiama Gene Hackman; il comandante, vallo a sapere.

    Fast forward: Texas, 1967. Hackman è sul set di Gangster Story; Arthur Penn dirige, Godard si è rifiutato, Warren Beatty produce e la Warner non sa che farsene. Nessuno degli astanti sa di aver piazzato una bomba ai piedi della vecchia Hollywood: dopo, il cinema americano non sarà più lo stesso. Hackman è Buck, il fratello ignoto e sfigato di Clyde, quello che la leggenda non ricorda; se Clyde (Beatty) è il volto seducente e ribelle del crimine, Buck ne è quello ridanciano e picaresco – quello che se crivellato sanguina peggio.

    Il film è un successo, la storia del cinema apre giocoforza un nuovo capitolo; Hackman rimane al palo.

    Meglio tirare avanti: New York, 1971. Hackman sta per mollare, tutti i suoi amici ce l’hanno fatta e lui no: mentre lui era in Texas, il suo coinquilino Dustin Hoffman si è Laureato; lui è rimasto indietro, sembra che il suo momento non arrivi mai.

    La Provvidenza ha una Calibro 9: Hackman è lo sbirro corrotto “Popeye” Doyle ne Il Braccio Violento della Legge. È l’ultima spiaggia del regista William Friedkin, che non osa a credere in lui. Hackman non riesce a far suo il personaggio: non gli appartiene, lo odia, quello non è lui.

    Friedkin decide che Hackman deve arrabbiarsi, fosse anche col regista; Hackman abbozza, poi va sul set e si arrabbia sul serio. Il resto è storia: Il Braccio Violento della Legge cambia il volto del poliziesco, incendia il dibattito nell’Italia di Piombo, sfonda i botteghini e si porta via cinque Oscar, tra cui miglior film (altri tempi); uno naturalmente è per Hackman, finalmente schizzato in alto, stella tra le stelle. Da lì in poi lui e Friedkin si parleranno appena, ma poco importa: la leggenda è fatta. “Popeye” tornerà nel ’75 per il seguito, stavolta diretto da John Frankenheimer: si pensi quel che pare, ma il poliziotto è ancora marcio.

    Alla deriva: 1973, un luogo sperduto della California; il film è Lo Spaventapasseri di Jerry Schatzberg. Hackman e Al Pacino sono il duo che non ti aspetti: una stranita coppia beckettiana, in una provincia che pare uscita da un’immane devastazione. Godot non arriva e loro non aspettano: vanno a Est verso Pittsburgh, cercano il futuro che li ha bidonati a Ovest.

    Al Pacino è Lion, un neo-padre in fuga che vuol rimettere le cose a posto; Hackman è Max, ex- galeotto col sogno di aprire un autolavaggio – perché si sa, «Tutte le macchine si sporcano». Finisce male: Lion perde la brocca, Max promette di salvarlo ma può a stento salvare se stesso. Ha solo spiccioli in una scarpa per il pullman, ma non si perde d’animo: Lion gli ha fatto scoprire se stesso. Max non è un criminale né un sognatore né un pazzo: solo uno spaventapasseri, di quelli che non spaventano ma divertono. Max batte la scarpa sul bancone, e i passeri ridono.

    Eggià, perché sa anche far ridere: a intuirlo è Mel Brooks – chi altri?

    Frankenstein Junior è la rivelazione comica: Hackman è il vecchio cieco che accoglie il Mostro, lo maltratta quanto più ne ha cura, maneggia i sigari con smorfia bambinesca. Dieci minuti, ma tutti esilaranti: la Creatura fugge a digiuno, col dito scottato e un pessimo umore; Hackman lo insegue interdetto: stava per fare l’espresso.

    Siamo ancora nel ’74, ma stavolta c’è poco da ridere. Hackman è a San Francisco per La Conversazione di Coppola. L’attore è irritabile: ora che ha imparato a divertirsi, il personaggio di Harry lo costringe a fare il misantropo. Fa niente: Coppola non è Friedkin, sa già che lui è quello giusto. C’è un nastro magnetico (lo stesso che usavano al Watergate, neanche a farlo apposta), una conversazione origliata, forse un delitto; nessuno sa niente, intanto il cesso trabocca sangue.

    Harry è paranoico: deve esserlo, giacché la paranoia è il suo lavoro, ma ormai fa parte di lui; non sa risolversi, cerca le tracce di un orecchio indiscreto ora che il suo ha fallito; alla fine restano solo macerie, non c’è che da suonare il sax. Qualcuno grida al clone di Blow-Up, ma non importa: La Conversazione è un capolavoro. Se lo ricorderà pure Tony Scott, che vorrà a tutti i costi Hackman per Nemico Pubblico, erede spirituale dell’opera maestra di Coppola.

    La risata ritorna nel ’79: Gene Hackman è Lex Luthor, l’arcinemico di Superman nel film di Richard Donner. È una pacchia: per Hackman è vero amore, il suo Luthor è buffo, crudele, brillante e rozzo, colorato come un fumetto della Silver Age. Il primo grande film di supereroi ha il suo primo, grandioso villain: la gioia del recitare è autentica, il tratteggio è da vaudeville, le tavole illustrate hanno vinto.

    Luthor ritornerà l’anno dopo, per quell’ircocervo di Superman II (ma solo nelle scene girate da Donner) e nell’83, per il quarto sciagurato film della saga: se il film arranca e si schianta, per Hackman non sembra essere passato un giorno.

    Non basterebbe un intero numero di rivista, per compendiare il silenzioso viaggio di Gene Hackman nel cinema che vale amare. Ci si lasci almeno il West: quello de Gli Spietati, con Hackman nemesi pragmatica di Clint Eastwood, sceriffo che sa parlare ma spara anche meglio; tra tutti i momenti da ricordare, quello da antologia è un monologo accanto a una cella, mentre fuori infuria il temporale.

    La morale? Una pistola è bene, due pistole è meglio.

    O ancora la Grande Mela: stavolta quella de I Tenenbaum, il film che ha consacrato Wes Anderson. Hackman è Royal Tenenbaum, il patriarca di una famiglia allo sbando, comandante di una nave che affonda; i figli si salvano da se stessi, la crociera della vita è salva, il capitano affonda con la nave.

    Nessuna malinconia: i passeri ridono ancora.

    ene Hackman è il vagabondo Max ne Lo Spaventapasseri (1973).

    Fabio Cassano

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  • “Hitler e Mussolini” di Bruno Vespa

    “Hitler e Mussolini” di Bruno Vespa

    Hitler e Mussolini: due uomini molto simili tra loro, entrambi protagonisti di un’irresistibile ascesa. Irresistibilmente attratti uno dall’altro, finiranno per suggellare una forte alleanza, che non mancherà di avere conseguenze pesanti per la storia del XX secolo. Entrambi hanno vissuto un’infanzia e una giovinezza molto triste, ma questo non è il solo punto in comune. Entrambi ebbero molte donne nella propria vita e quando salirono al potere furono trascinatori di masse come soltanto le figure più carismatiche della storia seppero essere. La figura femminile più importante nella vita del Führer fu Eva Braun, una giovane ragazza che lo amava e lo stimava per i suoi valori e per i suoi pensieri. Il Duce, invece, venne colpito dalla bellezza di Claretta Petacci, anche se prima si innamorò di Margherita Sarfatti, con cui ebbe una frequentazione molto importante.

    Le ideologie del nazismo e del fascismo, congiunte, partorirono la più grande tragedia e il più grande incubo dello scorso secolo: la Seconda Guerra Mondiale, che fu la loro fine. Al termine del conflitto, infatti, Hitler si suicidò nel suo bunker sparandosi alla testa, mentre Mussolini venne ucciso dai partigiani. Entrambi avevano cominciato la loro scalata al potere in maniera lenta: pochi voti, molto scetticismo. Conquistare le masse non riuscì certo loro in un giorno: ma alla fine la tenace volontà di dominio fu premiata e di certo tutto si può dire, nel loro specifico caso, tranne che un successo da demagoghi fu meno effimero.

    Bruno Vespa, al solito, tra momenti culmine (il delitto Matteotti, che fu uno spartiacque nell’Italia già avviata alla dittatura fascista) ed episodi eloquenti (la rabbia del Führer per la vittoria dell’afroamericano Jesse Owens che sporca le “sue” Olimpiadi berlinesi del ’36) getta un ponte tra passato e presente. Ormai la ricetta dei suoi libri prevede che la prima parte, riguardante il passato, venga trattata come una sorta di antefatto dell’attuale momento politico internazionale. Anche oggi la scena mondiale sembra dominata da grandi tiranni e demagoghi, in primis Trump e Putin. Due tizzoni ardenti – la guerra in Ucraina e quella in Medioriente – promettono (minacciano) una nuova deflagrazione bellica globale: in mezzo naturalmente c’è l’Italia, con Meloni e il suo governo. Che lavora per trovare un difficile equilibrio tra Ue e rapporti con le grandi potenze. Dovendo affrontare numerose difficoltà interne. Ma non ci sono solo gli attacchi frontali dell’opposizione, ancora priva di una sua compattezza però (leggasi campo largo): un pericolo ancora maggiore è rappresentato da cecchinaggi e malumori dentro la maggioranza. Il riferimento naturalmente è alla Lega, che a sua volta  soffre non poche perturbazioni al suo interno L’alleato più fidato per Giorgia Meloni resta sempre Forza Italia.

    “Hitler e Mussolini” di Bruno Vespa, Mondadori, 2025.

    Andrea Rizzatello

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  • Francesco Di Bella  “Acqua Santa” –  Ed. Musicali La Canzonetta/La Canzonetta Records

    Francesco Di Bella  “Acqua Santa” –  Ed. Musicali La Canzonetta/La Canzonetta Records

     Partenope è Napoli. Nei suoi linguaggi, nei suoi colori, nelle gesta e dinamiche in chiaroscuro, tra mito e poesia, anime dannate e luce, eterna lotta tra amore e male. Dopo “O’Diavolo”, pubblicato nel 2018, il songwriter Francesco Di Bella giunge al suo quinto album da solista, in cui canta l’amore come atto politico, nelle sue sfaccettature, e come dialogo, intimista e di confronto, tra ombre e bagliori di luce. Il front man dei 24 Grana (freschi di celebrazioni per il trentennale di carriera artistica), spazia nella sua ricercatezza, la diffonde e irradia, affidandosi alla suadente voce di Alice, anima dei True Collected, per dar forma, anima e voce, tra riverberi quasi tribali, etnici, ed espressività popolare a un dialogo diretto, semplificativo, ma ammaliante. Ha il ritmo di un cantico la ballad al piano Menamme ‘e mmane: la fatica, la difficoltà, ritrovano armoniose la speranza. Piccolo gioiello è Canzoni, dove la scrittura si fa leggera, veritiera, ma a tratti anche cupa: è l’amore che avvisa, allerta, e vuole liberarsi dalla routine, elegantemente soffiato su note di una ballata, specchio ancora delle tante dinamiche dell’amore. La penna è poetica, ma eclettica: Di Bella, vera anima da cantautore, dipinge quasi da paesaggista Miez ‘a via, cuore che esce, va per strada, con la chitarra al collo, e ad agni angolo, tra arpeggi e giri delle sei corde, trova l’amore e lo descrive nel suo perenne misto di gelosia e amarezza. In questo fragore dipinto di amore ed enfasi lo spazio-sguardo è alto nell’atmosfera jazz di N’a ta Luna, mosso come onde del mare, virtuoso, ma anche creativo, idealista. Acqua Santa chiude il cerchio magico, in un elegante e soft pop cantautorale, basico, essenziale ma intenso, che guarda e stupisce, ammalia e coinvolge, disegna e illustra, mentre esprime note. La strada, firmata in questo progetto dai testi di Di Bella e le musiche di M. Giudici, è un percorso multiforme, all’interno delle mappe dell’amore, intenso come riscossa, rivolta, che scuote e vuole ribaltare, con passione, finanche la vita quotidiana.  Un lavoro di poesia diversificata, narrata, che si eleva anche nei toni dell’attesa, dello sconforto: otto storie, che si sviluppano nell’ambito della tortuosa dinamica delle relazioni.  Potrebbero essere aneddoti, immagini, ma anche luoghi. Lì solo l’abilità artistica ma ancor più la peculiarità artistica della lingua napoletana può osare e arrivare.

    Sergio Cimmino

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  • Zdenek Zeman, un boemo italiano

    Zdenek Zeman, un boemo italiano

    Zdenek Zeman, nato a Praga il 12 maggio del ’47. Figlio di un primario ospedaliero e di una  casalinga. Nipote da parte di madre di Čestmír Vycpálek allenatore della Juventus prima dell’era Trapattoni: è stato lui a trasmettergli la passione per il calcio. Nel ’68, all’epoca dell’invasione sovietica a Praga, si trasferisce in Italia dove, dopo aver acquisito la cittadinanza, si laurea all’Isef di Palermo. Qui comincia l’attività di docente di educazione fisica.

    Sempre a Palermo conosce sua moglie e inizia ad allenare.

    Insieme a Vinicio, Viciani e Sacchi Zeman è considerato uno degli importatori del calcio totale di Rinus Michels nel campionato italiano, anche se non completamente: il boemo, infatti, si è ispirato anche al calcio danubiano tipico della sua terra, la grande scuola dell’Est Europa.

    Diverse le sue esperienze e  passioni sportive prima dell’approdo al calcio: hockey su ghiaccio, pallavolo, pallacanestro, pallamano, nuoto e atletica.

    La consacrazione la trova sulla panchina del Foggia, che porta dalla serie B alla A. Il triennio 91-92, 92-93 e 93-94 è il più bello nella storia del Foggia in massima serie ma anche di tutta la storia del club pugliese, che arriva a sfiorare la qualificazione  in Coppa Uefa.

    Ciccio Baiano, Giuseppe Signori e Roberto Rambaudi il tridente dauno che esalta il modulo del tecnico boemo.

    In precedenza Zeman aveva portato il Licata dalla C2 alla C1.

    Dopo la prima esperienza foggiana allena la Lazio per tre stagioni: ottiene un secondo e un terzo post. Poi ancora Roma, ma con un cambio di sponda:  sulla panchina giallorossa due anni,  quarto e quinto posto.

    In Campania prima a Napoli dove viene esonerato dopo poche partite e una stagione e mezzo a Salerno.

    Diverse brevi esperienze in Turchia,  Svizzera e Serbia.

    Con il Pescara vince il campionato di serie B nella stagione 2011/12. Qui lancia Insigne, Immobile e Verratti.

    Alla fine degli anni ’90 Zeman diventa il grande accusatore del sistema calcio.

    Nel mirino ha soprattutto la Juventus, che accusa di usare prodotti dopanti. Diventa così il paladino della lotta al doping sportivo. Ma non senza pagare prezzi salati: sono le sue fortune in panchina a farne le spese.

    Nell’autunno 2009, interrogato circa il possibile coinvolgimento del Lecce nei fatti di Calciopoli, il boemo accusò Luciano Moggi di  averne minato la carriera: contestò nello specifico presunte manovre messe in atto dall’ex dirigente juventino allo scopo di provocarne l’esonero, precisamente ai tempi della Roma, del Napoli e della Salernitana dalle quali il tecnico era stato licenziato rispettivamente nel 1999, 2000 e 2002. A detta di Zeman, la fine sfortunata di quelle avventure sarebbe stata ascrivibile alle accuse da lui stesso sollevate contro il club torinese nel 1998. Ad Avellino invece a salvarlo dall’esonero fu l’antica amicizia col presidente Casillo.  

    Dal momento che Moggi, in risposta alle accuse di Zeman, ne mise in discussione le effettive capacità di gestire lo spogliatoio, e dichiarò che lì era da cercarsi la causa dei suoi vari esoneri, Zeman sporse una querela, ritenendo che l’affermazione costituisse atto diffamatorio nei propri confronti; la giustizia darà ragione all’ex dirigente bianconero nel novembre 2012.

    Attualmente il boemo si trova in terapia intensiva neurologica, dopo aver accusato un deficit di forza e problemi nel linguaggio, sintomi compatibili con un’ischemia cerebrale. Le condizioni sono stabili, ma resta sotto stretta osservazione.

    Già lo scorso ottobre, Zeman aveva avuto un attacco ischemico e sei mesi prima si era sottoposto a un’operazione al cuore con l’inserimento di quattro bypass.

    Stefano Marino

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  • Accordo Usa-Ucraina: cosa rivela l’interesse strategico per le terre rare

    Accordo Usa-Ucraina: cosa rivela l’interesse strategico per le terre rare

    Da una prospettiva di carattere generale, l’instabilità politica di un paese e dello scenario internazionale spinge tendenzialmente all’occupazione dei territori e all’approvvigionamento delle risorse.
    Questo è tanto più vero quando si viene al caso specifico dell’Ucraina, che in questi ultimi giorni è al centro del dibattito pubblico in relazione ai negoziati avviati su iniziativa americana per portare a un cessate il fuoco e all’eventuale conclusione del conflitto in corso. Uno dei nodi centrali delle trattative riguarda proprio le risorse e le materie prime ucraine, oggetto principale dell’attenzione del neopresidente Donald Trump.
    Un’attenzione rivolta alle cosiddette “terre rare” che è sintomo di un’attenzione particolare al territorio, secondo una dinamica che accresce la competizione politica fra le potenze coinvolte e che riversa i suoi effetti sullo scenario globale e internazionale.
    Se, infatti, diamo per scontata la forte rilevanza strategica e geopolitica che rivestono le risorse del sottosuolo di cui l’Ucraina è ricca, si evince facilmente come e perché gli Stati Uniti tentino in ogni modo di accaparrarsele al netto del rinnovato disimpegno americano nel mondo, a fronte di una Cina sempre più assertiva, di un’Europa in via di sgretolamento e di una Federazione Russa che, territorialmente parlando, ha visto negli anni la sua potenza continentale e la sua sicurezza
    erodersi sempre di più. In simile una logica competitiva, con un ordine internazionale sempre più precario, il discorso sulle “terre rare” assume una rilevanza multiforme: energetica e tecnologica, geopolitica e strategica in un’ottica securitaria, ma anche nel settore degli investimenti e della cooperazione.
    Nello specifico quando si parla di terre rare si fa riferimento a un gruppo di 17 elementi chimici che comprendono 15 lanthanidi più due elementi che sono scandio e ittrio, che si rivelano fondamentali per la produzione di dispositivi tecnologici avanziati come batterie ricaricabili, pannelli solari, ma anche per applicazioni militari come missili, radar e sistemi di comunicazione. La denominazione “rare” non fa tanto riferimento alla loro concentrazione quanto alla loro difficile estrazione. Molti di questi elementi sono infatti particolarmente dannosi per l’ambiente e pericolosi quando si tratta di manipolarli.
    Di seguito la rappresentazione di una scheda tecnica riguardante le terre rare, per comprenderne le basilari caratteristiche, i vantaggi e gli svantaggi della loro estrazione e la loro applicazione.

    Scheda tecnica: Terre rare

    1. Composizione e Nomi
       Lantanidi (15 elementi):
    2. Lantanio (La)
    3. Cerio (Ce)
    4. Praseodimio (Pr)
    5. Neodimio (Nd)
    6. Promezio (Pm)
    7. Samario (Sm)
    8. Europio (Eu)
    9. Gadolinio (Gd)
    10. Terbio (Tb)
    11. Disprosio (Dy)
    12. Olmio (Ho)
    13. Erbio (Er)
    14. Tulio (Tm)
    15. Itrio (Y)
    16. Lutezio (Lu)
       Altri 2 elementi:

    o Scandio (Sc)
    o Ittrio (Y)

    1. Proprietà chimiche e fisiche
       Alta reattività: La maggior parte delle terre rare reagisce facilmente con ossigeno e acqua.
       Conducibilità elettrica: Hanno ottime proprietà per la conduzione elettrica.
       Magnetismo: Molti di questi elementi sono utilizzati per produrre magneti permanenti ad alte
      prestazioni.
       Resistenza alle alte temperature: Alcuni elementi, come il neodimio e il samario, sono resistenti a temperature elevate e sono usati in applicazioni aerospaziali.
    2. Applicazioni
       Tecnologie di energia rinnovabile:
      o Pannelli solari.
      o Turbine eoliche.
      o Batterie per veicoli elettrici (come il litio-ione).
       Elettronica:
      o Schermi LCD.
      o Dispositivi ottici (fibra ottica, laser).
      o Batterie ricaricabili.
      o Hard disk e altre memorie.
       Applicazioni industriali:
      o Catalizzatori nelle raffinerie di petrolio (ad esempio, il cerio è usato nei catalizzatori).
      o Materiali per illuminazione a LED (ad esempio, l’europio).
       Difesa e tecnologia militare:
      o Missili, radar e altre apparecchiature di comunicazione avanzata.
      o Magneti per motori a bassa emissione di carbonio e tecnologie di armi ad alta precisione.
    3. Risorse e produzione
       Distribuzione geografica:
      o Cina è il principale produttore mondiale di terre rare, con circa l’80% della produzione globale.
      o Altri paesi con giacimenti significativi includono Australia, Russia, USA, e India.
       Estrazione:
      o Le terre rare vengono estratte principalmente da minerali come monazite e bastnasite, ma la loro estrazione è complessa e può essere dannosa per l’ambiente, a causa dell’uso di agenti chimici per separare i metalli.
    4. Vantaggi e svantaggi
      Vantaggi:
       Essenziali per la produzione di dispositivi tecnologici avanzati.
       Migliorano l’efficienza e le prestazioni in molte tecnologie.
      Svantaggi:
       La produzione è concentrata in poche regioni geografiche, creando rischi geopolitici.
       Le tecniche di estrazione sono dannose per l’ambiente (produzione di scarti radioattivi).
       La domanda crescente può portare a una scarsità di risorse.
    5. Innovazioni e ricerca
       Sono in corso ricerche per trovare sostituti delle terre rare in alcune applicazioni.

     Lo sviluppo di metodi di estrazione più ecologici e sostenibili è un obiettivo importante, poiché l’industria mineraria delle terre rare ha un impatto ambientale significativo.

    Secondo uno studio della Facoltà di Economia di Kiev, l’Ucraina controlla più di 100 importanti giacimenti di minerali essenziali, oltre a modeste riserve di petrolio e gas naturale. Il paese possiede inoltre depositi di 20 dei 50 minerali che l’US Geological Survey elenca come essenziali per lo sviluppo economico e la difesa degli Stati Uniti, tra cui titanio, litio, manganese, zirconio, grafite e le ambite terre rare.
    Nonostante al momento non siano state trovate riserve sfruttabili di terre rare in territorio ucraino, in ogni caso il paese è ricco di titanio (fondamentale per la produzione dei missili) e di altri giacimenti soprattutto nella regione del Donbass. Di fatti, come si evince dalla cartina che segue, la Russia controlla già il 33% delle riserve di minerali ucraini come il litio.

    Gaia Serena Ferrara

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