“La commedia dell’arte” di Luca Beatrice
La commedia dell’arte, opera postuma di Luca Beatrice, attraversa riflette e fissa i punti fondamentali non solo dell’arte contemporanea, ma dell’arte al tempo del contemporaneo, esaminandone – trasversalmente, i fenomeni culturali sociali e antropologici che da essa derivano.
Di facile e immediata fruibilità, la lettura si caratterizza attraverso l’analisi dei molteplici mestieri di Beatrice. Docente presso varie accademie italiane, critico d’arte, curatore e saggista Luca Beatrice pone con chiara evidenza i confini labili dei ruoli dell’artista che poi diventa curatore, organizzatore, lui stesso opera d’arte. Evidenzia le politiche di mercato, in modo estremamente critico polemico provocatorio, interrogandosi su quale possa essere il destino dell’arte e delle sue opere nell’epoca degli influencer e degli ”artivisti” dove la digitalizzazione e i social, caratterizzati da una comunicazione rapida e veloce pronta ad essere dimenticata per passare al contenuto successivo, sia capace di cambiare il destino dell’arte e delle sue opere.
Luca Beatrice è chiaro, senza mezzi termini: non ci sono opere epocali capaci di entrare nel patrimonio culturale.
Con questa affermazione ne valuta la possibile fine?
E ancora, si chiede quale fine abbiano fatto gli artisti, così come li abbiamo conosciuti per secoli.
La street art e l’arte pubblica, ad esempio, sono tra i temi esaminati in quello spoglio paesaggio di una vecchia e ormai decrepita contestazione politica sostituita dal concetto di fluidità, termine che dà accesso a un preciso modo di pensare – preciso ma labile al tempo stesso, forse indicativo, in cui anche il luogo del museo viene confuso e percepito come opera d’arte e dove nelle mostre internazionali la presenza delle donne pare essere obbligatoria (socialmente) e urgentemente proveniente quasi sempre dalle ”periferie” – non più zone di una città ma concetto ideologico capace immediatamente di portare alla luce quegli aspetti (cosiddetti) politici evidenziati nella targhetta sottostante l’opera dove in primis appaiono le caratteristiche sociali, poi il nome dell’artista o più semplicemente dell’esecutore o di colui che ha realizzata l’opera e, solo per ultima, compare la dicitura artista.
La partecipazione femminile, in una precisa percentuale, è un tema che non deve essere un principio, pensa Beatrice. Anche attraverso questo canone decade la scelta della ”qualità delle opera”. Eccone il principio secondo il quale per Luca Beatrice l’arte contemporanea “non sforna capolavori”. Anche la tecnica e l’estetica sono il risultato di una mediocre antropologia fondata sul significato più vicino al messaggio che l’artista vuole dare quando poi non è totalmente sostituito dalla volontà e dalla poetica del curatore che prende arbitrariamente il posto e il ruolo del critico e dello storico.
Quando esamina la Street Art e il Graffitismo, chiedendosi se e come si equivalgano ricorda che entrambe nascono da una sotto cultura che lotta, dichiarandosi antagonista contro l’elitarismo dei musei che, insieme alle gallerie, vengono percepiti come spazi o luoghi di acquisto determinandone il valore dell’opera in denaro, più spesso considerato eccessivo.
Beatrice ne discute anche il ruolo dell’artista che passa dalla grande popolarità a vero protagonista del processo della commercializzazione dell’opera.
Tra gli altri ricorda il caso di Banskiy del quale alcune opere sono state valutate 4 milioni di dollari per arrivare alle opere pop che fanno delle rotonde spartitraffico delle vere ”rotonde pop”.
Ciò che Luca Beatrice vuole sottolineare tra i molti temi affrontati è quella incoerenza di fondo, quell’opportunismo che si maschera dietro la non sincerità e urgenza di alcuni artisti contemporanei.
La commedia dell’arte è una riflessione critica sul presente dell’arte. L’autore vuole provocare una discussione e riflessione profonda e critica sul futuro dell’arte e della sua stessa storia ri-considerandone il ruolo dell’opera nella moderna società contemporanea.
Claudia Dell’Era
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