Panico da guerra nucleare: in Italia è già corsa al bunker
Nati in ambito militare, i bunker divennero ben presto le soluzioni preferite dai grandi leader che, per ragioni di sicurezza, avevano necessità di un buen retiro che fosse progettato come una vera e propria mini-fortezza. Tuttavia non si può parlare di un’aspirazione “di massa” al bunker, per così dire, prima della comparsa del bunker come rifugio antiatomico. Parliamo del punto di arrivo di un percorso storico abbastanza lungo: si parte dalle catacombe per arrivare ai rifugi anti-bombardamenti. Luoghi di riparo “comunitari”, fatti per essere condivisi nello stesso momento con tante persone: la vera svolta arriva quando il nascondiglio sicuro e inaccessibile diventa a misura del singolo o di un unico nucleo familiare. È qui che la storia del bunker propriamente detto, fatto per i soldati e per il capo e il suo entourage, incontra quella del rifugio per i gruppi di civili: quello dei bunker “civili”, se proprio non vogliamo chiamarli “borghesi”, è un business a cui da qualche tempo si dedica in modo proficuo la Greenday di Cremona, società edile che al settore ha dedicato una divisione apposita, “Il mio bunker”. Ai due titolari dell’azienda, Stefania Rivoltini e Maurizio Balotta, chiediamo di parlarci delle caratteristiche dei “loro” rifugi antiatomici.
Generalmente i bunker vengono costruiti nel sottosuolo di campagna o nelle viscere delle periferie urbane?
Possono essere costruiti in entrambi i contesti. Tuttavia, le campagne offrono maggiori possibilità di spazio, riservatezza e semplicità nella gestione delle autorizzazioni urbanistiche. Anche nelle periferie urbane è possibile intervenire, ma l’ambiente cittadino impone vincoli strutturali e una progettazione più complessa. Ogni bunker viene comunque personalizzato in base alla posizione e alla destinazione d’uso.
Per “bunker privato” invece si intende un bunker costruito sotto la propria abitazione, come se fosse uno sgabuzzino sotterraneo?
Non proprio. Un bunker privato può trovarsi sotto casa, ma è molto più di uno “sgabuzzino”. Si tratta di un ambiente a tenuta stagna, tecnologicamente attrezzato per garantire sopravvivenza in condizioni estreme, con sistemi di filtraggio dell’aria, riserve idriche, alimentari e soluzioni abitative di emergenza. L’obiettivo è creare un rifugio sicuro e funzionale, anche se lo spazio è ridotto. Non dimentichiamo che i nostri rifugi con tecnologia NBC, rispondono, parimenti, alla necessità di protezione da agenti biologici (pandemie) e chimici che forse oggi, potrebbero essere realisticamente più futuribili rispetto ad una guerra nucleare.
I vostri bunker sono monocamerali: lo sono tutti i tipi di bunker?
La nostra linea base prevede bunker monocamerali per rispondere alle esigenze più diffuse in termini di costi, rapidità d’installazione e semplicità gestionale. Tuttavia esistono, e realizziamo su richiesta, anche soluzioni più modulari, con più ambienti collegati, a seconda delle esigenze del cliente. La configurazione dipende dal budget, dallo spazio disponibile e dal livello di autosufficienza richiesto.
In caso di effettiva catastrofe nucleare, quanto si può davvero sopravvivere in un ambiente comunque ristretto come quello del bunker prima di tornare a contatto con l’aria?
Dipende dall’intensità dell’evento e dal tipo di fallout. In media, è consigliabile restare isolati almeno 14-21 giorni, che è il tempo in cui la radioattività esterna si riduce significativamente. I nostri bunker sono progettati per garantire autonomia ben oltre che 30 giorni. I sistemi di filtraggio NBC (nucleare, biologico, chimico) consentono poi un ritorno graduale alla superficie, sempre con monitoraggio costante della qualità dell’aria. Si sta parlando di un ritorno al nucleare anche in Italia. I nostri rifugi, rispondo all’esigenza di protezione di una catastrofe nucleare quale quella di Chernobyl.
Voi siete un’impresa di costruzioni del Cremonese che ha un dipartimento specializzato nella costruzione di rifugi antiatomici. Qual è l’effettiva percezione del pericolo atomico nel vostro territorio e, in generale, in Lombardia?
Negli ultimi anni la percezione è profondamente cambiata. Se prima parlare di bunker sembrava un’esagerazione da film, oggi, complice la geopolitica, le tensioni internazionali e le emergenze ambientali, molte persone sentono il bisogno di dotarsi di un rifugio. In Lombardia, in particolare, la densità abitativa, la presenza di infrastrutture sensibili e la cultura della prevenzione rendono questo tipo di investimento sempre più considerato e discusso, anche da professionisti e famiglie.
Gianluca Vivacqua
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