Dogman
Bisogna volere un gran bene a Luc Besson. Nella sua quarantennale e discontinua carriera, il regista in grado di regalare gioielli come Léon e opere imbarazzanti come Lucy e Giovanna d’Arco non ha mai smesso di interpellare il cinema popolare secondo una sensibilità unica, un gusto per l’eccesso e l’artificio che fa del suo cinema una zona liminale, in perenne e precario equilibrio tra arthouse e exploitation, tra pacchiano e barocco, mai nel mezzo. Dopo l’immaginifico Valerian e la città dei mille pianeti e l’azione gelida e viscerale di Anna, il regista parigino torna a prendere di petto il mèlodrame, in quel suo amore per gli antieroi solitari che è da sempre il cuore del suo cinema.
Fabio Cassano
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